orgoglio, e 'nsomma tal ch'a morte i' mi ritoglio, et vivo, e 'l viver piu non m'e molesto. Beata s'e, che po beare altrui co la sua vista, over co le parole, intellecte da noi soli ambedui: " Fedel mio caro, assai di te mi dole, ma pur per nostro ben dura ti fui, " dice, et cos'altre d'arrestare il sole. 342 Del cibo onde 'l signor mio sempre abonda, lagrime et doglia, il cor lasso nudrisco, et spesso tremo et spesso impallidisco, pensando a la sua piaga aspra et profonda. Ma chi ne prima simil ne seconda ebbe al suo tempo, al lecto in ch'io languisco vien tal ch'a pena a rimirar l'ardisco, et pietosa s'asside in su la sponda. Con quella man che tanto desiai, m'asciuga gli occhi, et col suo dir m'apporta dolcezza ch'uom mortal non senti mai. " Che val " dice " a saver, chi si sconforta? Non pianger piu: non m'ai tu pianto assai? Ch'or fostu vivo, com'io non son morta! " 343 Ripensando a quel, ch'oggi il cielo honora, soave sguardo, al chinar l'aurea testa, al volto, a quella angelica modesta voce che m'adolciva, et or m'accora, gran meraviglia o com'io viva anchora: ne vivrei gia, se chi tra bella e honesta, qual fu piu, lascio in dubbio, non si presta fusse al mio scampo, la verso l'aurora. O che dolci accoglienze, et caste, et pie; et come intentamente ascolta et nota la lunga historia de le pene mie! Poi che 'l di chiaro par che la percota, tornasi al ciel, che sa tutte le vie, humida gli occhi et l'una et l'altra gota. 344 Fu forse un tempo dolce cosa amore, non perch'i'sappia il quando: or e si amara, che nulla piu; ben sa 'l ver chi l'impara com'o fatt'io con mio grave dolore. Quella che fu del secol nostro honore, or e del ciel che tutto orna et rischiara, fe' mia requie a' suoi giorni et breve et rara: or m'a d'ogni riposo tratto fore. Ogni mio ben crudel Morte m'a tolto: ne gran prosperita il mio stato adverso po consolar di quel bel spirto sciolto. Piansi et cantai: non so piu mutar verso; ma di et notte il duol ne l'alma accolto per la lingua et per li occhi sfogo et verso. 345 Spinse amor et dolor ove ir non debbe la mia lingua aviata a lamentarsi, a dir di lei per ch'io cantai et arsi quel che, se fusse ver, torto sarebbe: ch'assai 'l mio stato rio quetar devrebbe quella beata, e 'l cor racconsolarsi vedendo tanto lei domesticarsi con Colui che vivendo in cor sempre ebbe. Et ben m'acqueto, et me stesso consolo; ne vorrei rivederla in questo inferno, anzi voglio morire et viver solo: che piu bella che mai con l'occhio interno con li angeli la veggio alzata a volo a pie' del suo et mio Signore eterno. 346 Li angeli electi et l'anime beate cittadine del cielo, il primo giorno che madonna passo, le fur intorno piene di meraviglia et di pietate. " Che luce e questa, et qual nova beltate? " dicean tra lor " perch'abito si adorno dal mondo errante a quest'alto soggiorno non sali mai in tutta questa etate ". Ella, contenta aver cangiato albergo, si paragona pur coi piu perfecti, et parte ad or ad or si volge a tergo, mirando s'io la seguo, et par ch'aspecti: ond'io voglie et pensier' tutti al ciel ergo perch'i' l'odo pregar pur ch'i' m'affretti. 347 Donna che lieta col Principio nostro ti stai, come tua vita alma rechiede, assisa in alta et gloriosa sede, et d'altro ornata che di perle o d'ostro, o de le donne altero et raro mostro, or nel volto di Lui che tutto vede vedi 'l mio amore, et quella pura fede per ch'io tante versai lagrime e 'nchiostro; et senti che ver te 'l mio core in terra tal fu, qual ora e in cielo, et mai non volsi altro da te che 'l sol de li occhi tuoi: dunque per amendar la lunga guerra per cui dal mondo a te sola mi volsi, prega ch'i' venga tosto a star con voi. 348 Da' piu belli occhi, et dal piu chiaro viso che mai splendesse, et da piu bei capelli, che facean l'oro e 'l sol parer men belli, dal piu dolce parlare et dolce riso, da le man', da le braccia che conquiso senza moversi avrian quai piu rebelli fur d'Amor mai, da' piu bei piedi snelli, da la persona fatta in paradiso, prendean vita i miei spirti: or n'a diletto il Re celeste, i Suoi alati corrieri; et io son qui rimaso ignudo et cieco. Sol un conforto a le mie pene aspetto: ch'ella, che vede tutt'i miei penseri, m'impetre grazia, ch'i' possa esser seco. 349 E' mi par d'or in hora udire il messo che madonna mi mande a se chiamando: cosi dentro et di for mi vo cangiando, et sono in non molt'anni si dimesso, ch'a pena riconosco omai me stesso; tutto 'l viver usato o messo in bando. Sarei contento di sapere il quando, ma pur dovrebbe il tempo esser da presso. O felice quel di che, del terreno carcere uscendo, lasci rotta et sparta questa mia grave et frale et mortal gonna, et da si folte tenebre mi parta, volando tanto su nel bel sereno, ch'i' veggia il mio Signore et la mia donna. 350 Questo nostro caduco et fragil bene, ch'e vento et ombra, et a nome beltate, non fu gia mai se non in questa etate tutto in un corpo, et cio fu per mie pene: che Natura non vol, ne si convene, per far ricco un, por li altri in povertate; or verso in ogni sua largitate (perdonimi qual e bella, o si tene). Non fu simil bellezza anticha o nova, ne sara, credo; ma fu si converta, ch'a pena se n'accorse il mondo errante. Tosto disparve: onde 'l cangiar mi giova la poca vista a me dal cielo offerta sol per piacer a le sue luci sante. 351 Dolci durezze, et placide repulse, piene di casto amore et di pietate; leggiadri sdegni, che le mie infiammate voglie tempraro ( or me n'accorgo), e 'nsulse; gentil parlar, in cui chiaro refulse con somma cortesia somma honestate; fior di vertu, fontana di beltate, ch'ogni basso penser del cor m'avulse; divino sguardo da far l'uom felice, or fiero in affrenar la mente ardita a quel che giustamente si disdice, or presto a confortar mia frale vita: questo bel variar fu la radice di mia salute, ch'altramente era ita. 352 Spirto felice che si dolcemente volgei quelli occhi, piu chiari che 'l sole, et formavi i sospiri et le parole, vive ch'anchor mi sonan ne la mente: gia ti vid'io, d'onesto foco ardente, mover i pie' fra l'erbe et le viole, non come donna, ma com'angel sole, di quella ch'or m'e piu che mai presente; la qual tu poi, tornando al tuo fattore, lasciasti in terra, et quel soave velo che per alto destin ti venne in sorte. Nel tuo partir, parti nel mondo Amore et Cortesia, e 'l sol cadde del cielo, et dolce incomincio farsi la morte. 353 Vago augelletto che cantando vai, over piangendo, il tuo tempo passato, vedendoti la notte e 'l verno a lato e 'l di dopo le spalle e i mesi gai, se, come i tuoi gravosi affanni sai, cosi sapessi il mio simile stato, verresti in grembo a questo sconsolato a partir seco i dolorosi guai. I' non so se le parti sarian pari, che quella cui tu piangi e forse in vita, di ch'a me Morte e 'l ciel son tanto avari; ma la stagione et l'ora men gradita, col membrar de' dolci anni et de li amari, a parlar teco con pieta m'invita. 356 Deh porgi mano a l'affannato ingegno, Amor, et a lo stile stancho et frale, per dir di quella ch'e fatta immortale, et cittadina del celeste regno; dammi, signor, che 'l mio dir giunga al segno de le sue lode, ove per se non sale, se vertu, se belta non ebbe eguale il mondo, che d'aver lei non fu degno. Responde: " Quanto 'l ciel et io possiamo, e i buon' consigli, e 'l conversar honesto, tutto fu in lei, di che noi Morte a privi. Forma par non fu mai dal di ch'Adamo aperse li occhi in prima; et basti or questo: piangendo i' 'l dico, et tu piangendo scrivi. " 355 O tempo, o ciel volubil, che fuggendo inganni i ciechi et miseri mortali, o di veloci piu che vento et strali, ora ab experto vostre frodi intendo: ma scuso voi, et me stesso riprendo, che Natura a volar v'aperse l'ali, a me diede occhi, et io pur ne' miei mali li tenni, onde vergogna et dolor prendo. Et sarebbe ora, et e passata omai, di rivoltarli, in piu secura parte, et poner fine a li 'nfiniti guai; ne dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte, ma dal suo mal; con che studio tu 'l sai; non a caso e vertute, anzi e bell'arte. 356 L'aura mia sacra al mio stanco riposo spira si spesso, ch'i' prendo ardimento di dirle il mal ch'i'o sentito et sento, che, vivendo ella, non sarei stat'oso. I' incomoncio da quel guardo amoroso, che fu principio a si lungo tormento, poi seguo come misero et contento, di di in di, d'ora in hora, Amor m'a roso. Ella si tace, et di pieta depinta, fiso mira pur me; parte sospira, et di lagrime honeste il viso adorna: onde l'anima mia dal dolor vinta, mentre piangendo allor seco s'adira, sciolta dal sonno a se stessa ritorna. 357 Ogni giorno mi par piu di mill'anni ch'i' segua la mia fida et cara duce, che mi condusse al mondo, or mi conduce, per miglior via, a vita senza affanni: et non mi posson ritener li 'inganni del mondo, ch'i' 'l conosco; et tanta luce dentro al mio core infin dal ciel traluce ch'i' 'ncomincio a contar il tempo e i danni. Ne minaccie temer debbo di morte, che 'l Re sofferse con piu grave pena, per farme a seguitar constante et forte; et or novellamente in ogni vena intro di lei che m'era data in sorte, et non turbo la sua fronte serena. 358 Non po far Morte il dolce viso amaro, ma 'l dolce viso dolce po far Morte. Che bisogn'a morir ben altre scorte? Quella mi scorge ond'ogni ben imparo; et Quei che del Suo sangue non fu avaro, che col pe' ruppe le tartaree porte, col Suo morir par che mi riconforte. Dunque vien', Morte: il tuo venir m'e caro. Et non tardar, ch'egli e ben tempo omai; et se non fusse, e' fu 'l tempo in quel punto che madonna passo di questa vita. D'allor innanzi un di non vissi mai: seco fui in via, et seco al fin son giunto, et mia giornata o co' suoi pie' fornita. 359 Quando il soave mio fido conforto per dar riposo a la mia vita stanca ponsi del letto in su la sponda manca con quel suo dolce ragionare accorto, tutto di pieta et di paura smorto dico:" Onde vien' tu ora, o felice alma? " Un ramoscel di palma et un di lauro trae del suo bel seno, et dice:" Dal sereno ciel empireo et di quelle sante parti mi mossi et vengo sol per consolarti ". In atto et in parole la ringratio humilmente, et poi demando: " Or donde sai tu il mio stato? " Et ella: " Le triste onde del pianto, di che mai tu non se' satio, coll'aura de' sospir', per tanto spatio passano al cielo, et turban la mia pace: si forte ti dispiace che di questa miseria sia partita, et giunta a miglior vita; che piacer ti devria, se tu m'amasti quanto in sembianti et ne' tuoi dir' mostrasti ". Rispondo: " Io non piango altro che me stesso che son rimaso in tenebre e 'n martire, certo sempre del tuo al ciel salire come di cosa ch'uom vede da presso. Come Dio et Natura avrebben messo in un cor giovenil tanta vertute, se l'eterna salute non fusse destinata al tuo ben fare, o de l'anime rare, ch'altamente vivesti qui tra noi, et che subito al ciel volasti poi? Ma io che debbo altro che pianger sempre, misero et sol, che senza te son nulla? Ch'or fuss'io spento al latte et a la culla, per non provar de l'amorose tempre! " Et ella: " A che pur piangi et ti distempre? Quanto era meglio alzar da terra l'ali, et le cose mortali et queste dolci tue fallaci ciance librar con giusta lance, et seguir me, s'e ver che tanto m'ami, cogliendo omai qualchun di questi rami! " " I' volea demandar " respond'io allora : " Che voglion importar quelle due frondi? " Et ella: " Tu medesmo ti rispondi, tu la cui non penna tanto l'una honora: palma e victoria, et io, giovene anchora, vinsi il mondo, et me stessa; il lauro segna triumpho, ond'io son degna, merce di quel Signor che mi die' forza. Or tu, s'altri ti sforza, a Lui ti volgi, a Lui chiedi soccorso, si che siam Seco al fine del tuo corso ". " Son questi i capei biondi, et l'aureo nodo, " dich'io " ch'ancor mi stringe, et quei belli occhi che fur mio sol? " " Non errar con li sciocchi, ne parlar " dice " o creder a lor modo. Spirito ignudo sono, e 'n ciel mi godo: quel che tu cerchi e terra, gia molt'anni, ma per trarti d'affanni m'e dato a parer tale; et anchor quella saro, piu che mai bella, a te piu cara, si selvaggia et pia, salvando inseme tua salute et mia ". I' piango; et ella il volto co le sue man' m'asciuga, et poi sospira dolcemente, et s'adira con parole che i sassi romper ponno: et dopo questo si parte ella, e 'l sonno. 360 Quel'antiquo mio dolce empio signore fatto citar dinanzi a la reina che la parte divina tien di natura nostra e 'n cima sede, ivi, com'oro che nel foco affina, mi rappresento cerco di dolore, di paura et d'orrore, quasi huom che teme morte et ragion chiede; e 'ncomincio: " Madonna, il manco piede giovenetto pos'io nel costui regno, ond'altro ch'ira et sdegno non ebbi mai; et tanti et si diversi tormenti ivi soffersi, ch'alfine vinta fu quell'infinita mia patientia, e 'n odio ebbi la vita. Cosi 'l mio tempo infin qui trapassato e in fiamma e 'n pene: et quante utili honeste vie sprezzai, quante feste, per servir questo lusinghier crudele! Et qual ingegno a si parole preste, che stringer possa 'l mio infelice stato, et le mie d'esto ingrato tanto et si gravi e si giuste querele? O poco mel, molto aloe con fele! In quanto amaro a la mia vita avezza con sua falsa dolcezza, la qual m'atrasse a l'amorosa schiera! Che s'i' non m'inganno, era disposto a sollevarmi alto da terra: e' mi tolse di pace et pose in guerra. Questi m'a fatto men amare Dio ch'i' non deveva, et men curar me stesso: per una donna o messo egualmente in non cale ogni pensero. Di cio m'e stato consiglier sol esso, sempr'aguzzando il giovenil desio a l'empia cote, ond'io sperai riposo al suo giogo aspro et fero. Misero, a che quel chiaro ingegno altero, et l'altre doti a me date dal cielo? che vo cangiando 'l pelo, ne cangiar posso l'ostinata voglia: cosi in tutto mi spoglia di liberta questo crudel ch'i' accuso, ch'amaro viver m'a volto in dolce uso. Cercar m'a fatto deserti paesi, fiere et ladri rapaci, hispidi dumi, dure genti et costumi, et ogni error che' pellegrini intrica, monti, valli, paludi et mari et fiumi, mille lacciuoli in ogni parte tesi; e 'l verno in strani mesi, con pericol presente et con fatica: ne costui ne quell'altra mia nemica ch'i' fuggia, mi lasciavan sol un punto; onde, s'i' non son giunto anzi tempo da morte acerba et dura, pieta celeste a cura di mia salute non questo tiranno che del mio duol si pasce, et del mio danno. Poi che suo fui non ebbi hora tranquilla, ne spero aver, et le mie notti il sonno sbandiro, et piu non ponno per herbe o per incanti a se ritrarlo. Per inganni et per forza e fatto donno sovra miei spirti; et no sono poi squilla, ov'io sia, in qualche villa, ch'i' non l'udisse. Ei sa che 'l vero parlo: che legno vecchio mai non rose tarlo come questi 'l mio core, in che s'annida, et di morte lo sfida. Quinci nascon le lagrime e i martiri, le parole e i sospiri, di ch'io mi vo stancando, et forse altrui. Giudica tu, che me conosci et lui. " Il mio adversario con agre rampogne comincia: " O donna, intendi l'altra parte, che 'l vero, onde si parte quest'ingrato, dira senza defecto. Questi in sua prima eta fu dato a l'arte da vender parolette, anzi menzogne; ne par che si vergogne, tolto da quella noia al mio dilecto, lamentarsi di me, che puro et netto, contra 'l desio, che spesso il suo mal vole, lui tenni, ond'or si dole, in dolce vita, ch'ei miseria chiama: salito in qualche fama solo per me, che 'l suo intellecto alzai ov'alzato per se non fora mai. Ei sa che 'l grande Atride et l'alto Achille, et Hanibal al terren vostro amaro, et di tutti il piu chiaro un altro et di vertute et di fortuna, com'a ciascun le sue stelle ordinaro, lasciai cader in vil amor d'ancille: et a costui di mille donne electe, excellenti, n'elessi una, qual non si vedra mai sotto la luna, benche Lucretia ritornasse a Roma; et si dolce ydioma le diedi, et un cantar tanto soave, che penser basso o grave non pote mai durar dinanzi a lei. Questi fur con costui li 'nganni mei. Questo fu il fel, questi li sdegni et l'ire, piu dolci assai che di null'altra il tutto. Di bon seme mal frutto mieto; et tal merito a chi 'ngrato serve. Si l'avea sotto l'ali mie condutto, ch'a donne et cavalier piacea il suo dire; et si alto salire i''l feci, che tra' caldi ingegni ferve il suo nome et de' suoi detti conserve si fanno con diletto in alcun loco; ch'or saria forse un roco mormorador di corti, un huom del vulgo: i' l'exalto et divulgo, per quel ch'elli 'mparo ne la mia scola, et da colei che fu nel mondo sola. Et per dir a l'extremo il gran servigio, da mille acti inhonesti l'o ritratto, che mai per alcun pacto a lui piacer non poteo cosa vile: giovene schivo et vergognoso in acto et in penser, poi che fatto era huom ligio di lei ch'alto vestigio li 'mpresse al core, et fecel suo simile. Quanto a del pellegrino et del gentile, da lei tene, et da me, di cui si biasma. Mai nocturno fantasma d'error non fu si pien com'ei ver' noi: ch'e in gratia, da poi che ne conobbe, a Dio et a la gente. Di cio il superbo si lamenta et pente. Ancor, et questo e quel che tutto avanza, da volar sopra 'l ciel li avea dat'ali per le cose mortali, che son scala al fattor, chi ben l'estima; che mirando ei ben fiso quante et quali eran vertuti in quella sua speranza, d'una in altra sembianza potea levarsi a l'alta cagion prima; et ei l'a detto alcuna volta in rima, or m'a posto in oblio con quella donna ch'i' li die' per colonna de la sua frale vita. " A questo un strido lagrimoso alzo et grido: " Ben me la die', ma tosto la ritolse. " Responde: " Io no, ma Chi per se la volse. " Alfin ambo conversi al giusto seggio, i' con tremanti, ei con voci alte et crude, ciascun per se conchiude: " Nobile donna, tua sententia attendo. " Ella allor sorridendo: " Piacemi aver vostre questioni udite, ma piu tempo bisogna a tanta lite. " 361 Dicemi spesso il mio fidato speglio, l'animo stanco, et la cangiata scorza, et la scemata mia destrezza et forza: " Non ti nasconder piu: tu se' pur veglio. Obedir a Natura in tutto e il meglio, ch'a contender con lei il tempo ne sforza. " Subito allor, com'acqua 'l foco amorza, d'un lungo et grave sonno mi risveglio: et veggio ben che 'l nostro viver vola et ch'esser non si po piu d'una volta; e 'n mezzo 'l cor mi sona una parola di lei ch'e or dal suo bel nodo sciolta, ma ne' suoi giorni al mondo fu si sola, ch'a tutte, s'i' non erro, fama a tolta. 362 Volo con l'ali de' pensieri al cielo si spesse volte che quasi un di loro esser mi par ch'an ivi il suo thesoro, lasciando in terra lo squarciato velo. Talor mi trema 'l cor d'un dolce gelo udendo lei per ch'io mi discoloro dirmi: " Amico, or t'am'io et or t'onoro perch'a i costumi variati, e 'l pelo. " Menami al suo Signor: allor m'inchino, pregando humilemente che consenta ch'i' stia a veder et l'uno et l'altro volto. Responde: " Egli e ben fermo il tuo destino; et per tardar anchor vent'anni o trenta, parra a te troppo, et non fia pero molto. " 363 Morte a spento quel sol ch'abagliar suolmi, e 'n tenebre son gli occhi interi et saldi; terra e quella ond'io ebbi et freddi et caldi; spenti son i miei lauri, or querce et olmi: di ch'io veggio 'l mio ben; et parte duolmi. Non e chi faccia et paventosi et baldi i miei penser', ne chi li agghiacci et scaldi, ne chi li empia di speme, et di duol colmi. Fuor di man di colui che punge et molce, che gia fece di me si lungo stratio, mi trovo in libertate, amara et dolce; et al Signor ch'i' adoro et ch'i' ringratio, che pur col ciglio il ciel governa et folce, torno stanco di viver, nonche satio. 364 Tenemmi Amor anni ventuno ardendo, lieto nel foco, et nel duol pien di speme; poi che madonna e 'l mio cor seco inseme saliro al ciel, dieci altri anni piangendo. Omai son stanco, et mia vita reprendo di tanto error che di vertute il seme a quasi spento; et le mie parti extreme, alto Dio, a te devotamente rendo: pentito et tristo de' miei si spesi anni, che spender si deveano in miglior uso, in cercar pace et in fuggir affanni. Signor che 'n questo carcer m'ai rinchiuso, tramene, salvo da li eterni danni, ch'i' conosco 'l mio fallo, et non lo scuso. 365 I' vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale, per dar forse di me non bassi exempi. Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l'alma disviata et frale, e 'l suo defecto di tua gratia adempi: si che, s'io vissi in guerra et in tempesta, mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m'avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che 'n altrui non o speranza. 366 Vergin bella, che di sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti si, che 'n te Sua luce ascose, amor mi spinge a dir di te parole: ma non so 'ncominciar senza tu' aita, et di Colui ch'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose, chi la chiamo con fede: Vergine, s'a mercede miseria extrema de l'humane cose gia mai ti volse, al mio prego t'inchina, soccorri a la mia guerra, bench'i' sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero una de le beate vergini prudenti, anzi la prima, et con piu chiara lampa; o saldo scudo de l'afflicte genti contra colpi di Morte et di Fortuna, sotto 'l qual si triumpha, non pur scampa; o refrigerio al cieco ardor ch'avampa qui fra i mortali sciocchi: Vergine, que' belli occhi che vider tristi la spietata stampa ne' dolci membri del tuo caro figlio, volgi al mio dubbio stato, che sconsigliato a te ven per consiglio. Vergine pura, d'ogni parte intera, del tuo parto gentil figliola et madre, ch'allumi questa vita, et l'altra adorni, per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre, o fenestra del ciel lucente altera, venne a salvarne in su li extremi giorni; et fra tutt'i terreni altri soggiorni sola tu fosti electa, Vergine benedetta, che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni. Fammi, che puoi, de la Sua gratia degno, senza fine o beata, gia coronata nel superno regno. Vergine santa d'ogni gratia piena, che per vera et altissima humiltate salisti al ciel onde miei preghi ascolti, tu partoristi il fonte di pietate, et di giustitia il sol, che rasserena il secol pien d'errori oscuri et folti; tre dolci et cari nomi ai in te raccolti, madre, figliuola et sposa: Vergina gloriosa, donna del Re che nostri lacci a sciolti et fatto 'l mondo libero et felice, ne le cui sante piaghe prego ch'appaghe il cor, vera beatrice. Vergine sola al mondo senza exempio, che 'l ciel di tue bellezze innamorasti, cui ne prima fu simil ne seconda, santi penseri, atti pietosi et casti al vero Dio sacrato et vivo tempio fecero in tua verginita feconda. Per te po la mia vita esser ioconda, s'a' tuoi preghi, o Maria, Vergine dolce et pia, ove 'l fallo abondo, la gratia abonda. Con le ginocchia de la mente inchine, prego che sia mia scorta, et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d'ogni fedel nocchier fidata guida, pon' mente in che terribile procella i' mi ritrovo sol, senza governo, et o gia da vicin l'ultime strida. Ma pur in te l'anima mia si fida, peccatrice, i' no 'l nego, Vergine; ma ti prego che 'l tuo nemico del mio mal non rida: ricorditi che fece il peccar nostro, prender Dio per scamparne, humana carne al tuo virginal chiostro. Vergine, quante lagrime o gia sparte, quante lusinghe et quanti preghi indarno, pur per mia pena et per mio grave danno! Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno, cercando or questa et or quel'altra parte, non e stata mia vita altro ch'affanno. Mortal bellezza, atti et parole m'anno tutta ingombrata l'alma. Vergine sacra et alma, non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno. I di miei piu correnti che saetta fra miserie et peccati sonsen' andati, et sol Morte n'aspetta. Vergine, tale e terra, et posto a in doglia lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne et de mille miei mali un non sapea: et per saperlo, pur quel che n'avenne fora avenuto, ch'ogni altra sua voglia era a me morte, et a lei fama rea. Or tu donna del ciel, tu nostra dea (se dir lice, e convensi), Vergine d'alti sensi, tu vedi il tutto; e quel che non potea far altri, e nulla a la tua gran vertute, por fine al mio dolore; ch'a te honore, et a me fia salute. Vergine, in cui o tutta mia speranza che possi et vogli al gran bisogno aitarme, non mi lasciare in su l'extremo passo. Non guardar me, ma Chi degno crearme; no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza, ch'e in me, ti mova a curar d'uom si basso. Medusa et l'error mio m'an fatto un sasso d'umor vano stillante: Vergine, tu di sante lagrime et pie adempi 'l meo cor lasso, ch'almen l'ultimo pianto sia devoto, senza terrestro limo, come fu 'l primo non d'insania voto. Vergine humana, et nemica d'orgoglio, del comune principio amor t'induca: miserere d'un cor contrito humile. Che se poca mortal terra caduca amar con si mirabil fede soglio, che devro far di te, cosa gentile? Se dal mio stato assai misero et vile per le tue man' resurgo, Vergine, i' sacro et purgo al tuo nome et penseri e 'ngegno et stile, la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri. Scorgimi al miglior guado, et prendi in grado i cangiati desiri. Il di s'appressa, et non pote esser lunge, si corre il tempo et vola, Vergine unica et sola, e 'l cor or coscientia or morte punge. Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch'accolga 'l mio spirto ultimo in pace.