sa, non superba et ritrosa: Amor regge suo imperio senza spada. Chi smarrita a la strada, torni indietro; chi non a albergo, posisi in sul verde; chi non a l'auro, o 'l perde, spenga la sete sua con un bel vetro. I'die' in guarda a san Pietro; or non piu, no: intendami chi po, ch'i' m'intend'io. Grave soma e un mal fio a mantenerlo: quando posso mi spetro, et sol mi sto. Fetonte odo che 'n Po cadde, et morio; et gia di la dal rio passato e 'l merlo: deh, venite a vederlo. Or i' non voglio: non e gioco uno scoglio in mezzo l'onde, e 'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio quando un soverchio orgoglio molte vertuti in bella donna asconde. Alcun e che risponde a chi nol chiama; altri, chi 'il prega, si delegua et fugge; altri al ghiaccio si strugge; altri di et notte la sua morte brama. Proverbio "ama chi t'ama" e fatto antico. I' so ben quel ch'io dico: or lass'andare, che conven ch'altri impare a le sue spese. Un' humil donna grama un dolce amico. Mal si conosce il fico. A me pur pare senno a non cominciar tropp'alte imprese; et per ogni paese e bona stanza. L'infinita speranza occide altrui; et anch'io fui alcuna volta in danza. Quel poco che m'avanza fia chi nol schifi, s'i' 'l vo' dare a lui. I' mi fido in Colui che 'l mondo regge, et che' seguaci Suoi nel boscho alberga, che con pietosa verga mi meni a passo omai tra le Sue gregge. Forse ch'ogni uom che legge non s'intende; et la rete tal tende che non piglia; et chi troppo assotiglia si scavezza. Non fia zoppa la legge ov'altri attende. Per bene star si scende molte miglia. Tal par gran meraviglia, et poi si sprezza. Una chiusa bellezza e piu soave. Benedetta la chiave che s'avvolse al cor, et sciolse l'alma, et scossa l'ave di catena si grave, e 'nfiniti sospir' del mio sen tolse! La dove piu mi dolse, altri si dole, et dolendo adolcisse il mio dolore: ond'io ringratio Amore che piu nol sento, et e non men che suole. In silentio parole accorte et sagge, e 'l suon che mi sottragge ogni altra cura, et la pregione oscura ov'e 'l bel lume; le nocturne viole per le piagge, et le le fere selvagge entr'a le mura, et la dolce paura, e 'l bel costume, et di duo fonti un fiume in pace volto dov'io bramo, et raccolto ove che sia: Amor et Gelosia m'anno il cor tolto, e i segni del bel volto che mi conducon per piu piana via a la speranza mia, al fin degli affanni. O riposto mio bene, et quel che segue, or pace or guerra or triegue, mai non m'abbandonate in questi panni. De' passati miei danni piango et rido, perche molto mi fido in quel ch'i' odo. Del presente mi godo, et meglio aspetto, et vo contando gli anni, et taccio et grido. E 'n bel ramo m'annido, et in tal modo ch'i' ne ringratio et lodo il gran disdetto che l'indurato affecto alfine a vinto, et ne l'alma depinto "I sare' udito, et mostratone a dito", et anne extinto (tanto inanzi son pinto, ch'i' 'l pur diro) "Non fostu tant'ardito": chi m'a 'l fianco ferito, et chi 'l risalda, per cui nel cor via piu che 'n carta scrivo; chi mi fa morto et vivo, chi 'n un punto m'agghiaccia et mi riscalda. 106 Nova angeletta sovra l'ale accorta scese dal cielo in su la fresca riva, la 'nd'io passava sol per mio destino. Poi che senza compagna et senza scorta mi vide, un laccio che di seta ordiva tese fra l'erba, ond'e verde il camino. Allor fui preso; et non mi spiacque poi, si dolce lume uscia degli occhi suoi. 107 Non veggio ove scampar mi possa omai: si lunga guerra i begli occhi mi fanno, ch'i' temo, lasso, no 'l soverchio affanno distruga 'l cor che triegua non a mai. Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai, che di et notte ne la mente stanno, risplendon si, ch'al quintodecimo anno m'abbaglian piu che 'l primo giorno assai; et l'imagine lor son si cosparte che volver non mi posso, ov'io non veggia o quella o simil indi accesa luce. Solo d'un lauro tal selva verdeggia che 'l mio adversario con mirabil arte vago fra i rami ovunque vuol m'adduce. 108 Aventuroso piu d'altro terreno, ov'Amor vidi gia fermar le piante ver' me volgendo quelle luci sante che fanno intorno a se l'aere sereno, prima poria per tempo venir meno un'imagine salda di diamante che l'atto dolce non mi stia davante del qual o la memoria e 'l cor si pieno: ne tante volte ti vedro gia mai ch'i' non m'inchini a ricercar de l'orme che 'l bel pie' fece in quel cortese giro. Ma se 'n cor valoroso Amor non dorme, prega, Sennuccio mio, quand 'l vedrai, di qualche lagrimetta, o d'un sospiro. 109 Lasso, quante fiate Amor m'assale, che fra la notte e 'l di son piu di mille, torno dov'arder vidi le faville che 'l foco del mio cor fanno immortale. Ivi m'acqueto; et son condotto a tale, ch'a nona, a vespro, a l'alba et a le squille le trovo nel pensier tanto tranquille che di null'altro mi rimembra o cale. L'aura soave che dal chiaro viso move col suon de le parole accorte per far dolce sereno ovunque spira, quasi un spirto gentil di paradiso sempre in quell'aere par che mi conforte, si che 'l cor lasso altrove non respira. 110 Persequendomi Amor al luogo usato, ristretto in guisa d'uom ch'aspetta guerra, che si provede, e i passi intorno serra, de' miei antichi pensier' mi stava armato. Volsimi, et vidi un'ombra che da lato stampava il sole, et riconobbi in terra quella che, se 'l giudicio mio non erra, era piu degna d'immortale stato. I' dicea fra mio cor: Perche paventi? Ma non fu prima dentro il penser giunto che i raggi, ov'io mi struggo, eran presenti. Come col balenar tona in un punto, cosi fu' io de' begli occhi lucenti et d'un dolce saluto inseme aggiunto. 111 La donna che 'l mio cor nel viso porta, la dove sol fra bei pensier' d'amore sedea, m'apparve; et io per farle honore mossi con fronte reverente et smorta. Tosto che del mio stato fussi accorta, a me si volse in si novo colore ch'avrebbe a Giove nel maggior furore tolto l'arme di mano, et l'ira morta. I' mi riscossi; et ella oltra, parlando, passo, che la parola i' non soffersi, ne 'l dolce sfavillar degli occhi suoi. Or mi ritrovo pien di si diversi piaceri, in quel saluto ripensando, che duol non sento, ne senti' ma' poi. 112 Sennuccio, i' vo' che sapi in qual manera tractato sono, et qual vita e la mia: ardomi et struggo anchor com'io solia; l'aura mi volve, et son pur quel ch'i'm'era. Qui tutta humile, et qui la vidi altera, or aspra, or piana, or dispietata, or pia; or vestirsi honestate, or leggiadria, or mansueta, or disdegnosa et fera. Qui canto dolcemente, et qui s'assise; qui si rivolse, et qui rattenne il passo; qui co' begli occhi mi trafisse il core; qui disse una parola, et qui sorrise; qui cangio 'l viso. In questi pensier', lasso, nocte et di tiemmi il signor nostro Amore. 113 Qui dove mezzo son, Sennuccio mio, (cosi ci foss'io intero, et voi contento), venni fuggendo la tempesta e 'l vento c'anno subito fatto il tempo rio. Qui son securo: et vo' vi dir perch'io non come soglio il folgorar pavento, et perche mitigato, nonche spento, nemicha trovo il mio ardente desio. Tosto che giunto a l'amorosa reggia vidi onde nacque l'aura dolce et pura ch'acqueta l'aere, et mette i tuoni in bando, Amor ne l'alma, ov'ella signoreggia, raccese 'l foco, et spense la paura: che farrei dunque gli occhi suoi guardando? 114 De l'empia Babilonia, ond'e fuggita ogni vergogna, ond'ogni bene e fori, albergo di dolor, madre d'errori, son fuggito io per allungar la vita. Qui mi sto solo; et come Amor m'invita, or rime et versi, or colgo herbette et fiori, seco parlando, et a tempi migliori sempre pensando: et questo sol m'aita. Ne del vulgo mi cal, ne di Fortuna, ne di me molto, ne di cosa vile, ne dentro sento ne di fuor gran caldo. Sol due persone cheggio; et vorrei l'una col cor ver' me pacificato humile, l'altro col pie', si come mai fu, saldo. 115 In mezzo di duo amanti honesta altera vidi una donna, et quel signor co lei che fra gli uomini regna et fra li dei; et da l'un lato il Sole, io da l'altro era. Poi che s'accorse chiusa da la spera de l'amico piu bello, agli occhi miei tutta lieta si volse, et ben vorrei che mai non fosse inver' di me piu fera. Subito in alleggrezza si converse la gelosia che 'n su la prima vista per si alto adversario al cor mi nacque. A lui la faccia lagrimosa et trista un nuviletto intorno ricoverse: cotanto l'esser vinto li dispiacque. 116 Pien di quella ineffabile dolcezza che del bel viso trassen gli occhi miei nel di che volentier chiusi gli avrei per non mirar gia mai minor bellezza, lassai quel ch'i 'piu bramo; et o si avezza la mente a contemplar sola costei, ch'altro non vede, et cio che non e lei gia per antica usanza odia et disprezza. In una valle chiusa d'ogni 'ntorno, ch'e refrigerio de' sospir' miei lassi, giunsi sol com Amor, pensoso et tardo. Ivi non donne, ma fontane et sassi, et l'imagine trovo di quel giorno che 'l pensier mio figura, ovunque io sguardo. 117 Se 'l sasso, ond'e piu chiusa questa valle, di che 'l suo proprio nome si deriva, tenesse volto per natura schiva a Roma il viso et a Babel le spalle, i miei sospiri piu benigno calle avrian per gire ove lor spene e viva: or vanno sparsi, et pur ciascuno arriva la dov'io il mando, che sol un non falle. Et son di la si dolcemente accolti, com'io m'accorgo, che nessun mai torna: con tal diletto in quelle parti stanno. Degli occhi e 'l duol, che, tosto che s'aggiorna, per gran desio de' be' luoghi a lor tolti, danno a me pianto, et a' pie' lassi affanno. 118 Rimansi a dietro il sestodecimo anno de' miei sospiri, et io trapasso inanzi verso l'extremo; et parmi che pur dianzi fosse 'l principio di cotanto affanno. L'amar m'e dolce, et util il mio danno, e 'l viver grave; et prego ch'egli avanzi l'empia Fortuna, et temo no chiuda anzi Morte i begli occhi che parlar mi fanno. Or qui son, lasso, et voglio esser altrove; et vorrei piu volere, et piu non voglio; et per piu non poter fo quant'io posso; e d'antichi desir' lagrime nove provan com'io son pur quel ch'i' mi soglio, ne per mille rivolte anchor son mosso. 119 Una donna piu bella assai che 'l sole, et piu lucente, et d'altrettanta etade, con famosa beltade, acerbo anchor mi trasse a la sua schiera. Questa in penseri, in opre et in parole (pero ch'e de le cose al mondo rade), questa per mille strade sempre inanzi mi fu leggiadra altera. Solo per lei tornai da quel ch'i' era, poi ch'i' soffersi gli occhi suoi da presso; per suo amor m'er'io messo a faticosa impresa assai per tempo: tal che, s'i'arrivo al disiato porto, spero per lei gran tempo viver, quand'altri mi terra per morto. Questa mia donna mi meno molt'anni pien di vaghezza giovenile ardendo, si come ora io comprendo, sol per aver di me piu certa prova, mostrandomi pur l'ombra o 'l velo o' panni talor di se, ma 'l viso nascondendo; et io, lasso, credendo vederne assai, tutta l'eta mia nova passai contento, e 'l rimembrar mi giova, poi ch'alquanto di lei veggi'or piu inanzi. I'dico che pur dianzi qual io non l'avea vista infin allora, mi si scoverse: onde mi nacque un ghiaccio nel core, et evvi anchora, et sara sempre fin ch'i' le sia in braccio. Ma non me 'l tolse la paura o 'l gielo che pur tanta baldanza al mio cor diedi ch'i' le mi strinsi a' piedi per piu dolcezza trar de gli occhi suoi; et ella, che remosso avea gia il velo dinanzi a' miei, mi disse: " Amico, or vedi com'io son bella, et chiedi quanto par si convenga agli anni tuoi. " " Madonna " dissi " gia gran tempo in voi posi 'l mio amor, ch'i' sento or si infiammato, ond'a me in questo stato altro voler o disvoler m'e tolto. " Con voce allor di si mirabil' tempre rispose, et con un volto che temer et sperar mi fara sempre: Rado fu al mondo fra cosi gran turba ch'udendo ragionar del mio valore non si sentisse al core per breve tempo almen qualche favilla; ma l'adversaria mia che 'l ben perturba tosto la spegne, ond'ogni vertu more et regna altro signore che promette una vita piu tranquilla. De la tua mente Amor, che prima aprilla, mi dice cose veramente ond'io veggio che 'l gran desio pur d'onorato fin ti fara degno; et come gia se' de' miei rari amici, donna vedrai per segno che fara gli occhi tuoi via piu felici. I' volea dir: " Quest'e impossibil cosa "; quand'ella: " Or mira " et leva' gli occhi un poco in piu riposto loco " donna ch'a pochi si mostro gia mai. " Ratto inchinai la fronte vergognosa, sentendo novo dentro maggior foco; et ella il prese in gioco, dicendo: " I' veggio ben dove tu stai. Si come 'l sol con suoi possenti rai fa subito sparire ogni altra stella, cosi par or men bella la vista mia cui maggiore luce preme. Ma io pero da' miei non ti diparto, che questa et me d'un seme, lei davanti et me poi, produsse un parto. " Ruppesi intanto di vergogna il nodo ch'a la mia lingua era distretto intorno su nel primiero scorno, allor quand'io del suo accorger m'accorsi; e 'ncominciai: " S'egli e ver quel ch'i' odo, beato il padre, et benedetto il giorno ch'a di voi il mondo adorno, et tutto 'l tempo ch'a vedervi io corsi; et se mai da la via dritta mi torsi, duolmene forte, assai piu ch'i' non mostro; ma se de l'esser vostro fossi degno udir piu, del desir ardo. " Pensosa mi rispose, et cosi fiso tenne il suo dolce sguardo ch'al cor mando co le parole il viso: " Si come piacque al nostro eterno padre, ciascuna di noi due nacque immortale. Miseri, a voi che vale? Me' v'era che da noi fosse il defecto. Amate, belle, gioveni et leggiadre fummo alcun tempo: et or siam giunte a tale che costei batte l'ale per tornar a l'anticho suo ricetto; i' per me sono un'ombra. Et or t'o detto quanto per te si breve intender puossi. " Poi che i pie' suoi fur mossi, dicendo: " Non temer ch'i' m'allontani ", di verde lauro una ghirlanda colse, la qual co le sue mani intorno intorno a le mie tempie avolse. Canzon, chi tua ragion chiamasse obscura, di': " Non o cura, perche tosto spero ch'altro messaggio il vero fara in piu chiara voce manifesto. I' venni sol per isvegliare altrui, se chi m'impose questo non m'ingano, quand'io parti' da lui. " 120 Quelle pietose rime in ch'io m'accorsi di vostro ingegno et del cortese affecto, ebben tanto vigor nel mio conspetto che ratto a questa penna la man porsi per far voi certo che gli extremi morsi di quella ch'io con tutto 'l mondo aspetto mai non senti', ma pur senza sospetto infin a l'uscio del suo albergo corsi; poi tornai indietro, perch'io vidi scripto di sopra 'l limitar che 'l tempo anchora non era giunto al mio viver prescritto, bench'io non vi legessi il di ne l'ora. Dunque s'acqueti omai 'l cor vostro afflitto, et cerchi huom degno, quando si l'onora. 121 Or vedi, Amor, che giovenetta donna tuo regno sprezza, et del mio mal non cura, et tra duo ta' nemici e si secura. Tu se' armato, et ella in treccie e 'n gonna si siede, et scalza, in mezzo i fiori et l'erba, ver' me spietata, e 'n contra te superba. I' son pregion; ma se pieta anchor serba l'arco tuo saldo, et qualchuna saetta, fa di te et di me, signor, vendetta. 122 Dicesette anni a gia rivolto il cielo poi che 'mprima arsi, et gia mai non mi spensi; ma quando aven ch'al mio stato ripensi, sento nel mezzo de le fiamme un gielo. Vero e 'l proverbio, ch'altri cangia il pelo anzi che 'l vezzo, et per lentar i sensi gli umani affecti non son meno intensi: cio ne fa l'ombra ria del grave velo. Oime lasso, e quando fia quel giorno che, mirando il fuggir degli anni miei, esca del foco, et di si lunghe pene? Vedro mai il di che pur quant'io vorrei quel'aria dolce del bel viso adorno piaccia a quest'occhi, et quanto si convene? 123 Quel vago impallidir che 'l dolce riso d'un'amorosa nebbia ricoperse, con tanta maiestade al cor s'offerse che li si fece incontr'a mezzo 'l viso. Conobbi allor si come in paradiso vede l'un l'altro, in tal guisa s'aperse quel pietoso penser ch'altri non scerse: ma vidil' io, ch'altrove non m'affiso. Ogni angelica vista, ogni atto humile che gia mai in donna ov'amor fosse apparve, fora uno sdegno a lato a quel ch'i' dico. Chinava a terra il bel guardo gentile, et tacendo dicea, come a me parve: Chi m'allontana il mio fedele amico? 124 Amor, Fortuna et la mia mente, schiva di quel che vede e nel passato volta, m'affligon si, ch'io porto alcuna volta invidia a quei che son su l'altra riva. Amor mi strugge 'l cor, Fortuna il priva d'ogni conforto, onde la mente stolta s'adira et piange: et cosi in pena molta sempre conven che combattendo viva. Ne spero i dolci di tornino indietro, ma pur di male in peggio quel ch'avanza; et di mio corso o gia passato 'l mezzo. Lasso, non di diamante, ma d'un vetro veggio di man cadermi ogni speranza, et tutti miei pensier' romper nel mezzo. 125 Se 'l pensier che mi strugge, com'e pungente et saldo, cosi vestisse d'un color conforme, forse tal m'arde et fugge, ch'avria parte del caldo, et desteriasi Amor la dov'or dorme; men solitarie l'orme foran de' miei pie' lassi per campagne et per colli, men gli occhi ad ognor molli, ardendo lei che come un ghiaccio stassi, et non lascia in me dramma che non sia foco et fiamma. Pero ch'Amor mi sforza et di saver mi spoglia, parlo in rime aspre, et di dolcezza ignude: ma non sempre a la scorza ramo, ne in fior, ne 'n foglia mostra di for sua natural vertude. Miri cio che 'l cor chiude Amor et que' begli occhi, ove si siede a l'ombra. Se 'l dolor che si sgombra aven che 'n pianto o in lamentar trabocchi, l'un a me noce et l'altro altrui, ch'io non lo scaltro. Dolci rime leggiadre che nel primiero assalto d'Amor usai, quand'io non ebbi altr'arme, chi verra mai che squadre questo mio cor di smalto ch'almen com'io solea possa sfogarme? Ch'aver dentro a lui parme un che madonna sempre depinge et de lei parla: a voler poi ritrarla per me non basto, et par ch'io me ne stempre. Lasso, cosi m'e scorso lo mio dolce soccorso. Come fanciul ch'a pena volge la lingua et snoda, che dir non sa, ma 'l piu tacer gli e noia, cosi 'l desir mi mena a dire, et vo' che m'oda la dolce mia nemica anzi ch'io moia. Se forse ogni sua gioia nel suo bel viso e solo, et di tutt'altro e schiva, odil tu, verde riva, e presta a' miei sospir' si largo volo, che sempre si ridica come tu m'eri amica. Ben sai che si bel piede non toccho terra unquancho come quel di che gia segnata fosti; onde 'l cor lasso riede col tormentoso fiancho a partir teco i lor pensier' nascosti. Cosi avestu riposti de' be' vestigi sparsi anchor tra' fiori et l'erba, che la mia vita acerba, lagrimando, trovasse ove acquetarsi! Ma come po s'appaga l'alma dubbiosa et vaga. Ovunque gli occhi volgo trovo un dolce sereno pensando: Qui percosse il vago lume. Qualunque herba o fior colgo credo che nel terreno aggia radice, ov'ella ebbe in costume gir fra le piagge e 'l fiume, et talor farsi un seggio fresco, fiorito et verde. Cosi nulla se 'n perde, et piu certezza averne fora il peggio. Spirto beato, quale se', quando altrui fai tale? O poverella mia, come se' rozza! Credo che tel conoschi: rimanti in questi boschi. 126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole extreme. S'egli e pur mio destino e 'l cielo in cio s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l'alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: che lo spirito lasso non poria mai in piu riposato porto ne in piu tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l'ossa. Tempo verra anchor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella et mansueta, et la 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa et lieta, cercandomi; et, o pieta!, gia terra in fra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri si dolcemente che merce m'impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta gia de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito et perle eran quel di a vederle; qual si posava in terra, et qual su l'onde; qual con un vago errore girando parea dir: " Qui regna Amore. " Quante volte diss'io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosi carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e 'l dolce riso m'aveano, et si diviso da l'imagine vera, ch'i' dicea sospirando: Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non la dov'era. Da indi in qua mi piace questa herba si, ch'altrove non o pace. Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. 127 In quella parte dove Amor mi sprona conven ch'io volga le dogliose rime, che son seguaci de la mente afflicta. Quai fien ultime, lasso, et qua' fien prime? Collui che del mio mal meco ragiona mi lascia in dubbio, si confuso ditta. Ma pur quanto l'istoria trovo scripta in mezzo 'l cor (che si spesso rincorro) co la sua propria man de' miei martiri, diro, perche i sospiri parlando an triegua, et al dolor soccorro. Dico che, perch'io miri mille cose diverse attento et fiso, sol una donna veggio, e 'l suo bel viso. Poi che la dispietata mia ventura m'a dilungato dal maggior mio bene, noiosa, inexorabile et superba, Amor col rimembrar sol mi mantene: onde s'io veggio in giovenil figura incominciarsi il mondo a vestir d'erba, parmi vedere in quella etate acerba la bella giovenetta, ch'ora e donna; poi che sormonta riscaldando il sole, parmi qual esser sole, fiamma d'amor che 'n cor alto s'endonna; ma quando il di si dole di lui che passo passo a dietro torni, veggio lei giunta a' suoi perfecti giorni. In ramo fronde, over viole in terra, mirando a la stagion che 'l freddo perde, et le stelle miglior' acquistan forza, ne gli occhi o pur le violette e 'l verde di ch'era nel principio de mia guerra Amor armato, si ch'anchor mi sforza, et quella dolce leggiadretta scorza che ricopria le pargolette membra dove oggi alberga l'anima gentile ch'ogni altro piacer vile sembiar mi fa: si forte mi rimembra del portamento humile ch'allor fioriva, et poi crebbe anzi agli anni, cagion sola et riposo de' miei affanni. Qualor tenera neve per li colli dal sol percossa veggio di lontano, come 'l sol neve, mi governa Amore, pensando nel bel viso piu che humano che po da lunge gli occhi miei far molli, ma da presso gli abbaglia, et vince il core: ove fra 'l biancho et l'aureo colore, sempre si mostra quel che mai non vide occhio mortal, ch'io creda, altro che 'l mio; et del caldo desio, che, quando sospirando ella sorride, m'infiamma si che oblio niente aprezza, ma diventa eterno, ne state il cangia, ne lo spegne il verno. Non vidi mai dopo nocturna pioggia gir per l'aere sereno stelle erranti, et fiammeggiar fra la rugiada e 'l gielo, ch'i' non avesse i begli occhi davanti ove la stancha mia vita s'appoggia, quali io gli vidi a l'ombra di un bel velo; et si come di lor bellezze il cielo splendea quel di, cosi bagnati anchora li veggio sfavillare, ond'io sempre ardo. Se 'l sol levarsi sguardo, sento il lume apparir che m'innamora; se tramontarsi al tardo, parmel veder quando si volge altrove lassando tenebroso onde si move. Se mai candide rose con vermiglie in vasel d'oro vider gli occhi miei allor allor da vergine man colte, veder pensaro il viso di colei ch'avanza tutte l'altre meraviglie con tre belle excellentie in lui raccolte: le bionde treccie sopra 'l collo sciolte, ov'ogni lacte perderia sua prova, e le guancie ch'adorna un dolce foco. Ma pur che l'ora un poco fior' bianchi et gialli per le piaggie mova, torna a la mente il loco e 'l primo di ch'i' vidi a l'aura sparsi i capei d'oro, ond'io si subito arsi, Ad una ad una annoverar le stelle, e 'n picciol vetro chiuder tutte l'acque, forse credea, quando in si poca carta novo penser di ricontar mi nacque in quante parti il fior de l'altre belle, stando in se stessa, a la sua luce sparta a cio che mai da lei non mi diparta: ne faro io; et se pur talor fuggo, in cielo e'n terra m'ha rachiuso i passi, perch'agli occhi miei lassi sempre e presente, ond'io tutto mi struggo. Et cosi meco stassi, ch'altra non veggio mai, ne veder bramo, ne 'l nome d'altra ne sospir' miei chiamo. Ben sai, canzon, che quant'io parlo e nulla al celato amoroso mio pensero, che di et nocte ne la mente porto, solo per cui conforto in cosi lunga guerra ancho non pero: che ben m'avria gia morto la lontananza del mio cor piangendo, ma quinci da la morte indugio prendo. 128 Italia mia, benche 'l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo si spesse veggio, piacemi almen che ' miei sospir' sian quali spera 'l Tevero et l'Arno, e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio. Rettor del cielo, io cheggio che la pieta che Ti condusse in terra Ti volga al Tuo dilecto almo paese. Vedi, Segnor cortese, di che lievi cagion' che crudel guerra; e i cor', che 'ndura et serra Marte superbo et fero, apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda; ivi fa che 'l Tuo vero, qual io mi sia, per la mia lingua s'oda. Voi cui Fortuna a posto in mano il freno de le belle contrade, di che nulla pieta par che vi stringa, che fan qui tante pellegrine spade? perche 'l verde terreno del barbarico sangue si depinga? Vano error vi lusinga: poco vedete, et parvi veder molto, che 'n cor venale amor cercate o fede. Qual piu gente possede, colui e piu da' suoi nemici avolto. O diluvio raccolto di che deserti strani per inondar i nostri dolci campi! Se da le proprie mani questo n'avene, or chi fia che ne scampi? Ben provide Natura al nostro stato, quando de l'Alpi schermo pose fra noi et la tedesca rabbia; ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo, s'e poi tanto ingegnato, ch'al corpo sano a procurato scabbia. Or dentro ad una gabbia fiere selvagge et mansuete gregge s'annidan si che sempre il miglior geme: et e questo del seme, per piu dolor, del popol senza legge, al qual, come si legge, Mario aperse si 'l fianco, che memoria de l'opra ancho non langue, quando assetato et stanco non piu bevve del fiume acqua che sangue. Cesare taccio che per ogni piaggia fece l'erbe sanguigne di lor vene, ove 'l nostro ferro mise. Or par, non so per che stelle maligne, che 'l cielo in odio n'aggia: vostra merce, cui tanto si commise. Vostre voglie divise guastan del mondo la piu bella parte. Qual colpa, qual giudicio o qual destino fastidire il vicino povero, et le fortune afflicte et sparte perseguire, e 'n disparte cercar gente et gradire, che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo? Io parlo per ver dire, non per odio d'altrui, ne per disprezzo. Ne v'accorgete anchor per tante prove del bavarico inganno ch'alzando il dito colla morte scherza? Peggio e lo strazio, al mio parer, che 'l danno; ma 'l vostro sangue piove piu largamente, ch'altr'ira vi sferza. Da la matina a terza di voi pensate, et vederete come tien caro altrui che tien se cosi vile. Latin sangue gentile, sgombra da te queste dannose some; non far idolo un nome vano senza soggetto: che 'l furor de lassu, gente ritrosa, vincerne d'intellecto, peccato e nostro, et non natural cosa. Non e questo 'l terren ch'i' toccai pria? Non e questo il mio nido ove nudrito fui si dolcemente? Non e questa la patria in ch'io mi fido, madre benigna et pia, che copre l'un et l'altro mio parente? Perdio, questo la mente talor vi mova, et con pieta guardate le lagrime del popol doloroso, che sol da voi riposo dopo Dio spera; et pur che voi mostriate segno alcun di pietate, vertu contra furore prendera l'arme, et fia 'l combatter corto: che l'antiquo valore ne gli italici cor' non e anchor morto. Signor', mirate come 'l tempo vola, et si come la vita fugge, et la morte n'e sovra le spalle. Voi siete or qui; pensate a la partita: che l'alma ignuda et sola conven ch'arrive a quel dubbioso calle. Al passar questa valle piacciavi porre giu l'odio et lo sdegno, venti contrari a la vita serena; et quel che 'n altrui pena tempo si spende, in qualche acto piu degno o di mano o d'ingegno, in qualche bella lode, in qualche honesto studio si converta: cosi qua giu si gode, et la strada del ciel si trova aperta. Canzone, io t'ammonisco che tua ragion cortesemente dica, perche fra gente altera ir ti convene, et le voglie son piene gia de l'usanza pessima et antica, del ver sempre nemica. Proverai tua ventura fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace. Di' lor: " Chi m'assicura? I' vo gridando: Pace, pace, pace. " 129 Di pensier in pensier, di monte in monte mi guida Amor, ch'ogni segnato calle provo contrario a la tranquilla vita. Se 'n solitaria piaggia, o rivo, o fonte, se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle, ivi s'acqueta l'alma sbigottita; et come Amor l'envita, or ride, or piange, or teme, or s'assecura; e 'l volto che lei segue ov'ella il mena si turba et rasserena, et in un esser picciol tempo dura; onde a la vista huom di tal vita experto diria: Questo arde, et di suo stato e incerto. Per alti monti et per selve aspre trovo qualche riposo: ogni habitato loco e nemico mortal degli occhi miei. A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna, che sovente in gioco gira 'l tormento ch'i' porto per lei; et a pena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro, ch'i' dico: Forse anchor ti serva Amore ad un tempo migliore; forse, a te stesso vile, altrui se' caro. Et in questa trapasso sospirando: Or porrebbe esser vero? or come? or quando? Ove porge ombra un pino alto od un colle talor m'arresto, et pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. Poi ch'a me torno, trovo il petto molle de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso, dove se' giunto! et onde se' diviso! Ma mentre tener fiso posso al primo pensier la mente vaga, et mirar lei, et obliar me stesso, sento Amor si da presso, che del suo proprio error l'alma s'appaga: in tante parti et si bella la veggio, che se l'error durasse, altro non cheggio. I' l'o piu volte (or chi fia che mi 'l creda?) ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde veduto viva, et nel tronchon d'un faggio e 'n bianca nube, si fatta che Leda avria ben detto che sua figlia perde, come stella che 'l sol copre col raggio; et quanto in piu selvaggio loco mi trovo e 'n piu deserto lido, tanto piu bella il mio pensier l'adombra. Poi quando il vero sgombra quel dolce error, pur li medesmo assido me freddo, pietra morta in pietra viva, in guisa d'uom che pensi et pianga et scriva. Ove d'altra montagna ombra non tocchi, verso 'l maggiore e 'l piu expedito giogo tirar mi suol un desiderio intenso; indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso, alor ch'i' miro et penso, quanta aria dal bel viso mi diparte che sempre m'e si presso et si lontano. Poscia fra me pian piano: Che sai tu, lasso! forse in quella parte or di tua lontananza si sospira. Et in questo penser l'alma respira. Canzone, oltra quell'alpe la dove il ciel e piu sereno et lieto mi rivedrai sovr'un ruscel corrente, ove l'aura si sente d'un fresco et odorifero laureto. Ivi e 'l mio cor, et quella che 'l m'invola; qui veder poi l'imagine mia sola. 130 Poi che 'l camin m'e chiuso di Mercede, per desperata via son dilungato da gli occhi ov'era, i' non so per qual fato, riposto il guidardon d'ogni mia fede. Pasco 'l cor di sospir', ch'altro non chiede, e di lagrime vivo a pianger nato: ne di cio duolmi, perche in tale stato e dolce il pianto piu ch'altri non crede. Et sol ad una imagine m'attegno, che fe' non Zeusi, o Prasitele, o Fidia, ma miglior mastro, et di piu alto ingegno. Qual Scithia m'assicura, o qual Numidia, s'anchor non satia del mio exsilio indegno, cosi nascosto mi ritrova Invidia? 131 Io canterei d'amor si novamente ch'al duro fiancho il di mille sospiri trarrei per forza, et mille alti desiri raccenderei ne la gelata mente; e 'l bel viso vedrei cangiar sovente, et bagnar gli occhi, et piu pietosi giri far, come suol chi de gli altrui martiri et del suo error quando non val si pente; et le rose vermiglie in fra le neve mover da l'ora, et discovrir l'avorio che fa di marmo chi da presso 'l guarda; e tutto quel per che nel viver breve non rincresco a me stesso, anzi mi glorio d'esser servato a la stagion piu tarda. 132 S'amor non e, che dunque e quel ch'io sento? Ma s'egli e amor, perdio, che cosa et quale? Se bona, onde l'effecto aspro mortale? Se ria, onde si dolce ogni tormento? S'a mia voglia ardo, onde 'l pianto e lamento? S'a mal mio grado, il lamentar che vale? O viva morte, o dilectoso male, come puoi tanto in me, s'io no 'l consento? Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio. Fra si contrari venti in frale barca mi trovo in alto mar senza governo, si lieve di saver, d'error si carca ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio, et tremo a mezza state, ardendo il verno. 133 Amor m'a posto come segno a strale, come al sol neve, come cera al foco, et come nebbia al vento; et son gia roco, donna, merce chiamando, et voi non cale. Da gli occhi vostri uscio 'l colpo mortale, contra cui non mi val tempo ne loco; da voi sola procede, et parvi un gioco, il sole e 'l foco e 'l vento ond'io son tale. I pensier' son saette, e 'l viso un sole, e 'l desir foco; e 'nseme con quest'arme mi punge Amor, m'abbaglia et mi distrugge; et l'angelico canto et le parole, col dolce spirto ond'io non posso aitarme, son l'aura inanzi a cui mia vita fugge. 134 Pace non trovo, et non o da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio. Tal m'a in pregion, che non m'apre ne serra, ne per suo mi riten ne scioglie il laccio; et non m'ancide Amore, et non mi sferra, ne mi vuol vivo, ne mi trae d'impaccio. Veggio senza occhi, et non o lingua et grido; et bramo di perir, et cheggio aita; et o in odio me stesso, et amo altrui. Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. 135 Qual piu diversa et nova cosa fu mai in qual che stranio clima, quella, se ben s'estima, piu mi rasembra: a tal son giunto, Amore. La onde il di ven fore, vola un augel che sol senza consorte di volontaria morte rinasce, et tutto a viver si rinova. Cosi sol si ritrova lo mio voler, et cosi in su la cima de' suoi alti pensieri al sol si volve, et cosi si risolve, et cosi torna al suo stato di prima: arde, et more, et riprende i nervi suoi, et vive poi con la fenice a prova. Una petra e si ardita la per l'indico mar, che da natura tragge a se il ferro e 'l fura dal legno, in guisa che ' navigi affonde. Questo prov'io fra l'onde d'amaro pianto, che quel bello scoglio a col suo duro argoglio condutta ove affondar conven mia vita: cosi l'alm'a sfornita (furando 'l cor che fu gia cosa dura, et me tenne un, ch'or son diviso et sparso) un sasso a trar piu scarso carne che ferro. O cruda mia ventura, che 'n carne essendo, veggio trarmi a riva ad una viva dolce calamita! Ne l'extremo occidente una fera e soave et queta tanto che nulla piu, ma pianto et doglia et morte dentro agli occhi porta: molto convene accorta esser qual vista mai ver' lei si giri; pur che gli occhi non miri, l'altro puossi veder securamente. Ma io incauto, dolente, corro sempre al mio male, et so ben quanto n'o sofferto, et n'aspetto; ma l'engordo voler ch'e cieco et sordo si mi trasporta, che 'l bel viso santo et gli occhi vaghi fien cagion ch'io pera, di questa fera angelica innocente. Surge nel mezzo giorno una fontana, e tien nome dal sole, che per natura sole bollir le notti, e 'n sul giorno esser fredda; e tanto si raffredda quanto 'l sol monta, et quanto e piu da presso. Cosi aven a me stesso, che son fonte di lagrime et soggiorno: quando 'l bel lume adorno ch'e 'l mio sol s'allontana, et triste et sole son le mie luci, et notte oscura e loro, ardo allor; ma se l'oro e i rai veggio apparir del vivo sole, tutto dentro et di for sento cangiarme, et ghiaccio farme, cosi freddo torno. Un'altra fonte a Epiro, di cui si scrive ch'essendo fredda ella, ogni spenta facella accende, et spegne qual trovasse accesa. L'anima mia, ch'offesa anchor non era d'amoroso foco, appressandosi un poco a quella fredda, ch'io sempre sospiro, arse tutta: et martiro simil gia mai ne sol vide, ne stella, ch'un cor di marmo a pieta mosso avrebbe; poi che 'nfiammata l'ebbe, rispensela vertu gelata et bella. Cosi piu volte a 'l cor racceso et spento: i' 'l so che 'l sento, et spesso me 'nadiro. Fuor tutti nostri lidi, ne l'isole famose di Fortuna, due fonti a: chi de l'una bee, mor ridendo; et chi de l'altra, scampa. Simil fortuna stampa mia vita, che morir poria ridendo, del gran piacer ch'io prendo, se nol temprassen dolorosi stridi. Amor, ch'anchor mi guidi pur a l'ombra di fama occulta et bruna, tacerem questa fonte, ch'ognor piena, ma con piu larga vena veggiam, quando col Tauro il sol s'aduna: cosi gli occhi miei piangon d'ogni tempo, ma piu nel tempo che madonna vidi. Chi spiasse, canzone quel ch'i' fo, tu poi dir: Sotto un gran sasso in una chiusa valle, ond'esce Sorga, si sta; ne chi lo scorga v'e, se no Amor, che mai nol lascia un passo, et l'immagine d'una che lo strugge, che per se fugge tutt'altre persone. 136 Fiamma dal ciel su le tue treccie piova, malvagia, che dal fiume et da le ghiande per l'altrui impoverir se' ricca et grande, poi che di mal oprar tanto ti giova; nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande, de vin serva, di lecti et di vivande, in cui Luxuria fa l'ultima prova. Per le camere tue fanciulle et vecchi vanno trescando, et Belzebub in mezzo co' mantici et col foco et co li specchi. Gia non fustu nudrita in piume al rezzo, ma nuda al vento, et scalza fra gli stecchi: or vivi si ch'a Dio ne venga il lezzo. 137 L'avara Babilonia a colmo il sacco d'ira di Dio, e di vitii empii et rei, tanto che scoppia, ed a fatti suoi dei non Giove et Palla, ma Venere et Bacco. Aspectando ragion mi struggo et fiacco; ma pur novo soldan veggio per lei, lo qual fara, non gia quand'io vorrei, sol una sede, et quella fia in Baldacco. Gl'idoli suoi sarranno in terra sparsi, et le torre superbe, al ciel nemiche, e i suoi torrer' di for come dentro arsi. Anime belle et di virtute amiche terranno il mondo; et poi vedrem lui farsi aureo tutto, et pien de l'opre antiche. 138 Fontana di dolore, albergo d'ira, scola d'errori, et templo d'eresia, gia Roma, or Babilonia falsa et ria, per cui tanto si piange et si sospira; o fucina d'inganni, o pregion dira, ove 'l ben more, e 'l mal si nutre et cria, di vivi inferno, un gran miracol fia se Cristo teco alfine non s'adira. Fondata in casta et humil povertate, contra' tuoi fondatori alzi le corna, putta sfacciata: et dove ai posto spene? Ne gli adulteri tuoi? ne le mal nate richezze tante? Or Constantin non torna; ma tolga il mondo tristo che 'l sostene. 139 Quanto piu disiose l'ali spando verso di voi, o dolce schiera amica, tanto Fortuna con piu visco intrica il mio volare, et gir mi face errando. Il cor che mal suo grado a torno mando, e con voi sempre in quella valle aprica, ove 'l mar nostro piu la terra implica; l'altrier da lui partimmi lagrimando. I' da man manca, e' tenne il camin dritto; i' tratto a forza, et e' d'Amore scorto; egli in Ierusalem, et io in Egipto. Ma sofferenza e nel dolor conforto; che per lungo uso, gia fra noi prescripto, il nostro esser insieme e raro et corto. 140 Amor, che nel penser mio vive et regna e 'l suo seggio maggior nel mio cor tene, talor armato ne la fronte vene, ivi si loca, et ivi pon sua insegna. Quella ch'amare et sofferir ne 'nsegna e vol che 'l gran desio, l'accesa spene, ragion, vergogna et reverenza affrene, di nostro ardir fra se stessa si sdegna. Onde Amor paventoso fugge al core, lasciando ogni sua impresa, et piange, et trema; ivi s'asconde, et non appar piu fore. Che poss'io far, temendo il mio signore, se non star seco infin a l'ora extrema? Che bel fin fa chi ben amando more. 141 Come talora al caldo tempo sole semplicetta farfalla al lume avezza volar negli occhi altrui per sua vaghezza, onde aven ch'ella more, altri si dole: cosi sempre io corro al fatal mio sole degli occhi onde mi ven tanta dolcezza che 'l fren de la ragion Amor non prezza, e chi discerne e vinto da chi vole. E veggio ben quant'elli a schivo m'anno, e so ch'i' ne morro veracemente, che mia vertu non po contra l'affanno; ma si m'abbaglia Amor soavemente, ch'i' piango l'altrui noia, et no 'l mio danno; et cieca al suo morir l'alma consente. 142 A la dolce ombra de le belle frondi corsi fuggendo un dispietato lume che'nfin qua giu m'ardea dal terzo cielo; et disgombrava gia di neve i poggi l'aura amorosa che rinova il tempo, et fiorian per le piagge l'erbe e i rami. Non vide il mondo si leggiadri rami, ne mosse il vento mai si verdi frondia me si mostrar quel primo tempo: tal che, temendo de l'ardente lume, non volsi al mio refugio ombra di poggi, ma de la pianta piu gradita in cielo. Un lauro mi difese allor dal cielo, onde piu volte vago de' bei rami da po' son gito per selve et per poggi; ne gia mai ritrovai tronco ne frondi tanto honorate dal supremo lume che non mutasser qualitate a tempo. Pero piu fermo ognor di tempo in tempo, seguendo ove chiamar m'udia dal cielo e scorto d'un soave et chiaro lume, tornai sempre devoto ai primi rami et quando a terra son sparte le frondi et quando il sol fa verdeggiar i poggi. Selve, sassi, campagne, fiumi et poggi, quanto e creato, vince et cangia il tempo: ond'io cheggio perdono a queste frondi, se rivolgendo poi molt'anni il cielo fuggir disposi gl' invescati rami tosto ch'incominciai di veder lume. Tanto mi piacque prima il dolce lume ch'i' passai con diletto assai gran poggi per poter appressar gli amati rami: ora la vita breve e 'l loco e 'l tempo mostranmi altro sentier di gire al cielo et di far frutto, non pur fior' et frondi. Altr'amor, altre frondi et altro lume, altro salir al ciel per altri poggi cerco, che n'e ben tempo, et altri rami. 143 Quand'io v'odo parlar si dolcemente com'Amor proprio a' suoi seguaci instilla, l'acceso mio desir tutto sfavilla, tal che 'nfiammar devria l'anime spente. Trovo la bella donna allor presente, ovunque mi fu mai dolce o tranquilla ne l'habito ch'al suon non d'altra squilla ma di sospir' mi fa destar sovente. Le chiome a l'aura sparse, et lei conversa indietro veggio; et cosi bella riede nel cor, come colei che tien la chiave. Ma 'l soverchio piacer, che s'atraversa a la mia lingua, qual dentro ella siede di mostrarla in palese ardir non ave. 144 Ne cosi bello il sol gia mai levarsi quando 'l ciel fosse piu de nebbia scarco, ne dopo pioggia vidi 'l celeste arco per l'aere in color' tanti variarsi, in quanti fiammeggiando trasformarsi, nel di ch'io presi l'amoroso incarco, quel viso al quale, et son nel mio dir parco, nulla cosa mortal pote aguagliarsi. I' vidi Amor che ' begli occhi volgea soave si, ch'ogni altra vista oscura da indi in qua m'incomincio apparere. Segnuccio, i' 'l vidi, et l'arco che tendea, tal che mia vita poi non fu secura, et e si vaga ancor del rivedere. 145 Pommi ove 'l sole occide i fiori et l'erba, o dove vince lui il ghiaccio et la neve; ponmi ov'e 'l carro suo temprato et leve, et ov'e chi ce 'l rende, o chi ce 'l serba; ponmi in humil fortuna, od in superba, al dolce aere sereno, al fosco et greve; ponmi a la notte, al di lungo ed al breve, a la matura etate od a l'acerba; ponmi in cielo, od in terra, od in abisso, in alto poggio, in valle ima et palustre, libero spirto, od a' suoi membri affisso; ponmi con fama oscura, o con illustre: saro qual fui, vivro com'io son visso, continuando il mio sospir trilustre. 146 O d'ardente vertute ornata et calda alma gentil chui tante carte vergo; o sol gia d'onestate intero albergo, torre in alto valor fondata et salda; o fiamma, o rose sparse in dolce falda di viva neve, in ch'io mi specchio e tergo; o piacer onde l'ali al bel viso ergo, che luce sovra quanti il sol ne scalda: del vostro nome, se mie rime intese fossin si lunge, avrei pien Tyle et Battro, la Tana e 'l Nilo, Athlante, Olimpo et Calpe. Poi che portar nol posso in tutte et quattro parti del mondo, udrallo il bel paese ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe. 147 Quando 'l voler che con duo sproni ardenti, et con un duro fren, mi mena et regge trapassa ad or ad or l'usata legge per far in parte i miei spirti contenti, trova chi le paure et gli ardimenti del cor profondo ne la fronte legge, et vede Amor che sue imprese corregge folgorar ne' turbati occhi pungenti. Onde, come collui che 'l colpo teme di Giove irato, si ritragge indietro: che di gran temenza gran desire affrena. Ma freddo foco et paventosa speme de l'alma che traluce come un vetro talor sua dolce vista rasserena. 148 Non Tesin, Po, Varo, Adige et Tebro, Eufrate, Tigre, Nilo, Hermo, Indo et Gange, Tana, Histro, Alpheo, Garona, e 'l mar che frange, Rodano, Hibero, Ren, Sena, Albia, Era, Hebro; non edra, abete, pin, faggio, o genebro, poria 'l foco allentar che 'l cor tristo ange, quant'un bel rio ch'ad ognor meco piange, co l'arboscel che 'n rime orno et celebro. Questo un soccorso trovo tra gli assalti d'Amore, ove conven ch'armato viva la vita che trapassa a si gran salti. Cosi cresca il bel lauro in fresca riva, et chi 'l pianto pensier' leggiadri et alti ne la dolce ombra al suon de l'acque scriva. 149 Di tempo in tempo mi si fa men dura l'angelica figura e 'l dolce riso, et l'aria del bel viso e degli occhi leggiadri meno oscura. Che fanno meco omai questi sospiri che nascean di dolore et mostravan di fore la mia angosciosa et desperata vita? S'aven che 'l volto in quella parte giri per acquetare il core, parmi vedere Amore mantener mia ragion, et darmi aita: ne pero trovo anchor guerra finita, ne tranquillo ogni stato del cor mio, che piu m'arde 'l desio, quanto piu la speranza m'assicura. 150 " Che fai alma? che pensi? avrem mai pace? avrem mai tregua? od avrem guerra eterna? " " Che fia di noi, non so; ma, in quel ch'io scerna, a' suoi begli occhi il mal nostro non piace. " " Che pro, se con quelli occhi ella ne face di state un ghiaccio, un foco quando inverna? " " Ella non, ma colui che gli governa. " " Questo ch'e a noi, s'ella s'el vede, et tace? " " Talor tace la lingua, e 'l cor si lagna ad alta voce, e 'n vista asciutta et lieta, piange dove mirando altri non 'l vede. " " Per tutto cio la mente non s'acqueta, rompendo il duol che 'n lei s'accoglie et stagna, ch'a gran speranza huom misero non crede. 151 Non d'atra et tempestosa onda marina fuggio in porto gia mai stanco nocchiero, com'io dal fosco et torbido pensero fuggo ove 'l gran desio mi sprona e 'nchina. Ne mortal vista mai luce divina vinse, come la mia quel raggio altero del bel dolce soave bianco et nero, in che i suoi strali Amor dora et affina. Cieco non gia, ma pharetrato il veggo; nudo, se non quanto vergogna il vela; garzon con ali: non pinto, ma vivo. Indi mi mostra quel ch'a molti cela, ch'a parte a parte entro a' begli occhi leggo quant'io parlo d'Amore, et quant'io scrivo. 152 Questa humil fera, un cor di tigre o d'orsa, che 'n vista humana e 'n forma d'angel vene, in riso e 'n pianto, fra paura et spene mi rota si ch'ogni mio stato inforsa. Se 'n breve non m'accoglie o non mi smorsa, ma pur come suol far tra due mi tene, per quel ch'io sento al cor gir fra le vene dolce veneno, Amor, mia vita e corsa. Non po piu la vertu fragile et stanca tante varietati omai soffrire, che 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa e 'nbianca. Fuggendo spera i suoi dolor' finire, come colei che d'ora in hora manca: che ben po nulla chi non po morire. 153 Ite, caldi sospiri, al freddo core, rompete il ghiaccio che Pieta contende, et se prego mortale al ciel s'intende, morte o merce sia fine al mio dolore. Ite, dolci penser', parlando fore di quello ove 'l bel guardo non s'estende: se pur sua asprezza o mia stella n'offende, sarem fuor di speranza et fuor d'errore. Dir se po ben per voi, non forse a pieno, che 'l nostro stato e inquieto et fosco, si come 'l suo pacifico et sereno. Gite securi omai, ch'Amor ven vosco; et ria fortuna po ben venir meno, s'ai segni del mio sol l'aere conosco. 154 Le stelle, il cielo et gli elementi a prova tutte lor arti et ogni extrema cura poser nel vivo lume, in cui Natura si specchia, e 'l Sol ch'altrove par non trova. L'opra e si altera, si leggiadra et nova che mortal guardo in lei non s'assecura: tanta negli occhi bei for di misura par ch'Amore et dolcezza et gratia piova. L'aere percosso da' lor dolci rai s'infiamma d'onestate, et tal diventa, che 'l dir nostro e 'l penser vince d'assai. Basso desir non e ch'ivi si senta, ma d'onor, di vertute: or quando mai fu per somma belta vil voglia spenta? 155 Non fur ma' Giove et Cesare si mossi, a folminar collui, questo a ferire, che Pieta non avesse spente l'ire, e lor de l'usate arme ambeduo scossi. Piangea madonna, e 'l mio signor ch'i' fossi volse a vederla, et i suoi lamenti a udire, per colmarmi di doglia et di desire, et ricercarmi le medolle et gli ossi. Quel dolce pianto mi depinse Amore, anzi scolpio, et que' detti soavi mi scrisse entro un diamante in mezzo 'l core; ove con salde ed ingegnose chiavi ancor torna sovente a trarne fore lagrime rare et sospir' lunghi et gravi. 156 I' vidi in terra angelici costumi et celesti bellezze al mondo sole, tal che di rimembrar mi giova et dole, che quant'io miro par sogni, ombre et fumi; et vidi lagrimar que' duo bei lumi, ch'an fatto mille volte invidia al sole; et udi' sospirando dir parole che farian gire i monti et stare i fiumi. Amor, Senno, Valor, Pietate, et Doglia facean piangendo un piu dolce concento d'ogni altro che nel mondo udir si soglia; ed era il cielo a l'armonia si intento che non se vedea in ramo mover foglia, tanta dolcezza avea pien l'aere e 'l vento. 157 Quel sempre acerbo et honorato giorno mando si al cor l'imagine sua viva che 'ngegno o stil non fia mai che 'l descriva, ma spesso a lui co la memoria torno. L'atto d'ogni gentil pietate adorno, e 'l dolce amaro lamentar ch'i' udiva, facean dubbiar, se mortal donna o diva fosse che 'l ciel rasserenava intorno. La testa or fino, et calda neve il volto, hebeno i cigli, et gli occhi eran due stelle, onde Amor l'arco non tendeva in fallo; perle et rose vermiglie, ove l'accolto dolor formava ardenti voci et belle; fiamma i sospir', le lagrime cristallo. 158 Ove ch'i' posi gli occhi lassi o giri per quetar la vaghezza che gli spinge, trovo chi bella donna ivi depinge per far sempre mai verdi i miei desiri. Con leggiadro dolor par ch'ella spiri alta pieta che gentil core stringe: oltra la vista, agli orecchi orna e 'nfinge sue voci vive et suoi sancti sospiri. Amor e 'l ver fur meco a dir che quelle ch'i' vidi, eran bellezze al mondo sole, mai non vedute piu sotto le stelle. Ne si pietose et si dolci parole s'udiron mai, ne lagrime si belle di si belli occhi uscir vide mai 'l sole. 159 In qual parte del ciel, in quale idea era l'exempio, onde Natura tolse quel bel viso leggiadro, in ch'ella volse mostrar qua giu quanto lassu potea? Qual nimpha in fonti, in selve mai qual dea, chiome d'oro si fino a l'aura sciolse? quando un cor tante in se vertuti accolse? benche la somma e di mia morte rea. Per divina bellezza indarno mira chi gli occhi de costei gia mai non vide come soavemente ella gli gira; non sa come Amor sana, et come ancide, chi non sa come dolce ella sospira, et come dolce parla, et dolce ride. 160 Amor et io si pien' di meraviglia come chi mai cosa incredibil vide, miriam costei quand'ella parla o ride che sol se stessa, et nulla altra, simiglia. Dal bel seren de le tranquille ciglia sfavillan si le mie due stelle fide, ch'altro lume non e ch'infiammi et guide chi d'amar altamente si consiglia. Qual miracolo e quel, quando tra l'erba quasi un fior siede, over quand'ella preme col suo candido seno un verde cespo! Qual dolcezza e ne la stagione acerba vederla ir sola co i pensier' suoi inseme, tessendo un cerchio a l'oro terso et crespo! 161 O passi sparsi, o pensier' vaghi et pronti, o tenace memoria, o fero ardore, o possente desire, o debil core, oi occhi miei, occhi non gia, ma fonti! O fronde, honor de le famose fronti, o sola insegna al gemino valore! O faticosa vita, o dolce errore, che mi fate ir cercando piagge et monti! O bel viso ove Amor inseme pose gli sproni e 'l fren ond'el mi punge et volve, come a lui piace, et calcitrar non vale! O anime gentili et amorose, s'alcuna a 'l mondo, et voi nude ombre et polve, deh ristate a veder quale e 'l mio male. 162 Lieti fiori et felici, et ben nate herbe che madonna pensando premer sole; piaggia ch'ascolti sue dolci parole, et del bel piede alcun vestigio serbe; schietti arboscelli et verdi frondi acerbe, amorosette et pallide viole; ombrose selve, ove percote il sole che vi fa co' suoi raggi alte et superbe; o soave contrada, o puro fiume, che bagni il suo bel viso et gli occhi chiari et prendi qualita dal vivo lume; quanto v'invidio gli atti honesti et cari! Non fia in voi scoglio omai che per costume d'arder co la mia fiamma non impari. 163 Amor, che vedi ogni pensero aperto e i duri passi onde tu sol mi scorgi, nel fondo del mio cor gli occhi tuoi porgi, a te palese, a tutt'altri coverto. Sai quel che per seguirte o gia sofferto: et tu pur via di poggio in poggio sorgi, di giorno in giorno, et di me non t'accorgi che son si stanco, e 'l sentier m'e troppo erto. Ben veggio io di lontano il dolce lume ove aspre vie mi sproni et giri, ma non o come tu da volar piume. Assai contenti lasci i miei desiri, pur che ben desiando i' mi consume, ne le dispiaccia che per lei sospiri. 164 Or che 'l ciel et la terra e 'l vento tace et le fere e gli augelli il sonno affrena, Notte il carro stellato in giro mena et nel suo letto il mar senz'onda giace, veggio, penso, ardo, piango; et chi mi sface sempre m'e inanzi per mia dolce pena: guerra e 'l mio stato, d'ira et di duol piena, et sol di lei pensando o qualche pace. Cosi sol d'una chiara fonte viva move 'l dolce et l'amaro ond'io mi pasco; una man sola mi risana et punge; e perche 'l mio martir non giunga a riva, mille volte il di moro et mille nasco, tanto da la salute mia son lunge. 165 Come 'l candido pie' per l'erba fresca i dolci passi honestamente move, vertu che 'ntorno i fiori apra et rinove, de le tenere piante sue par ch'esca. Amor che solo i cor' leggiadri invesca ne degna di provar sua forza altrove, da' begli occhi un piacer si caldo piove ch'i' non curo altro ben ne bramo altr'esca. Et co l'andar et col soave sguardo s'accordan le dolcissime parole, et l'atto mansueto, humile et tardo. Di tai quattro faville, et non gia sole, nasce 'l gran foco, di ch'io vivo et ardo, che son fatto un augel notturno al sole. 166 S'i' fussi stato fermo a la spelunca la dove Apollo divento profeta, Fiorenza avria forse oggi il suo poeta, non pur Verona et Mantoa et Arunca; ma perche 'l mio terren piu non s'ingiunca de l'humor di quel sasso, altro pianeta conven ch'i' segua, et del mio campo mieta lappole et stecchi co la falce adunca. L'oliva e secca, et e rivolta altrove l'acqua che di Parnaso si deriva, per cui in alcun tempo ella fioriva. Cosi sventura over colpa mi priva d'ogni buon fructo, se l'etterno Giove de la sua gratia sopra me non piove. 167 Quando Amor i belli occhi a terra inchina e i vaghi spirti in un sospiro accoglie co le sue mani, et poi in voce gli scioglie, chiara, soave, angelica, divina, sento far del mio cor dolce rapina, et si dentro cangiar penseri et voglie, ch'i' dico: Or fien di me l'ultime spoglie, se 'l ciel si honesta morte mi destina. Ma 'l suon che di dolcezza i sensi lega col gran desir d'udendo esser beata l'anima al dipartir presta raffrena. Cosi mi vivo, et cosi avolge et spiega lo stame de la vita che m'e data, questa sola fra noi del ciel sirena. 168 Amor mi manda quel dolce pensero che secretario anticho e fra noi due, et mi conforta, et dice che non fue mai come or presto a quel ch'io bramo et spero. Io, che talor menzogna et talor vero o ritrovato le parole sue, non so s'i' 'l creda, et vivomi intra due, ne si ne no nel cor mi sona intero. In questa passa 'l tempo, et ne lo specchio mi veggio andar ver' la stagion contraria a sua impromessa, et a la mia speranza. Or sia che po: gia sol io non invecchio; gia per etate il mio desir non varia; ben temo il viver breve che n'avanza. 169 Pien d'un vago penser che me desvia da tutti gli altri, et fammi al mondo ir solo, ad or ad ora a me stesso m'involo pur lei cercando che fuggir devria; et veggiola passar si dolce et ria che l'alma trema per levarsi a volo, tal d'armati sospir' conduce stuolo questa bella d'Amor nemica, et mia. Ben s'i' non erro di pietate un raggio scorgo fra 'l nubiloso, altero ciglio, che 'n parte rasserena il cor doglioso: allor raccolgo l'alma, et poi ch'i' aggio di scovrirle il mio mal preso consiglio, tanto gli o a dir, che 'ncominciar non oso. 170 Piu volte gia dal bel sembiante humano o preso ardir co le mie fide scorte d'assalir con parole honeste accorte la mia nemica in atto humile et piano. Fanno poi gli occhi suoi mio penser vano perch'ogni mia fortuna, ogni mia sorte, mio ben, mio male, et mia vita, et mia morte, quei che solo il po far, l'a posto in mano. Ond'io non pote' mai formar parola ch'altro che da me stesso fosse intesa: cosi m'ha fatto Amor tremante et fioco. E veggi' or ben che caritate accesa lega la lingua altrui, gli spirti invola: chi po dir com'egli arde, e 'n picciol foco. 171 Giunto m'a Amor fra belle et crude braccia, che m'ancidono a torto; et s'io mi doglio, doppia 'l martir; onde pur, com'io soglio, il meglio e ch'io mi mora amando, et taccia: che poria questa il Ren qualor piu agghiaccia arder con gli occhi, et rompre ogni aspro scoglio; et a si egual a le bellezze orgoglio, che di piacer altrui par che le spiaccia. Nulla posso levar io per mi' 'ngegno del bel diamante, ond'ell'a il cor si duro; l'altro e d'un marmo che si mova et spiri: ned ella a me per tutto 'l suo disdegno torra gia mai, ne per sembiante oscuro, le mie speranze, e i miei dolci sospiri. 172 O Invidia nimica di vertute, ch'a' bei principii volentier contrasti, per qual sentier cosi tacita intrasti in quel bel petto, et con qual' arti il mute? Da radice n'ai svelta mia salute: troppo felice amante mi mostrasti a quella che' miei preghi humili et casti gradi alcun tempo, or par ch'odi et refute. Ne pero che con atti acerbi et rei del mio ben pianga, et del mio pianger rida, poria cangiar sol un de' pensier' mei; non, perche mille volte il di m'ancida, fia ch'io non l'ami, et ch'i' non speri in lei: che s'ella mi spaventa, Amor m'affida. 173 Mirando 'l sol de' begli occhi sereno, ove e chi spesso i miei depinge et bagna, dal cor l'anima stanca si scompagna per gir nel paradiso suo terreno. Poi trovandol di dolce et d'amar pieno, quant'al mondo si tesse, opra d'aragna vede: onde seco et con Amor si lagna, ch'a si caldi gli spron', si duro 'l freno. Per questi extremi duo contrari et misti, or con voglie gelate, or con accese stassi cosi fra misera et felice; ma pochi lieti, et molti penser' tristi, e 'l piu si pente de l'ardite imprese: tal frutto nasce di cotal radice. 174 Fera stella (se 'l cielo a forza in noi quant'alcun crede) fu sotto ch'io nacqui, et fera cuna, dove nato giacqui, et fera terra, ove' pie' mossi poi; et fera donna, che con gli occhi suoi, et con l'arco a cui sol per segno piacqui, fe' la piaga onde, Amor, teco non tacqui, che con quell'arme risaldar la poi. Ma tu prendi a diletto i dolor' miei: ella non gia, perche non son piu duri, e 'l colpo e di saetta, et non di spiedo. Pur mi consola che languir per lei meglio e, che gioir d'altra; et tu me 'l giuri per l'orato tuo strale, et io tel credo. 175 Quando mi vene inanzi il tempo e 'l loco ov'i' perdei me stesso, e 'l caro nodo ond'Amor di sua man m'avinse in modo che l'amar mi fe' dolce, e 'l pianger gioco, solfo et esca son tutto, e 'l cor un foco da quei soavi spirti, i quai sempre odo, acceso dentro si, ch'ardendo godo, et di cio vivo, et d'altro mi cal poco. Quel sol, che solo agli occhi miei resplende, co i vaghi raggi anchor indi mi scalda a vespro tal qual era oggi per tempo; et cosi di lontan m'alluma e 'ncende, che la memoria ad ognor fresca et salda pur quel nodo mi mostra e 'l loco e 'l tempo. 176 Per mezz'i boschi inhospiti et selvaggi, onde vanno a gran rischio uomini et arme, vo securo io, che non po spaventarme altri che 'l sol ch'a d'amor vivo i raggi; et vo cantando (o penser' miei non saggi!) lei che 'l ciel non poria lontana farme, ch'i' l'o negli occhi, et veder seco parme donne et donzelle, et son abeti et faggi. Parme d'udirla, udendo i rami et l'ore et le frondi, et gli augei lagnarsi, et l'acque mormorando fuggir per l'erba verde. Raro un silentio, un solitario horrore d'ombrosa selva mai tanto mi piacque: se non che dal mio sol troppo si perde. 177 Mille piagge in un giorno et mille rivi mostrato m'a per la famosa Ardenna Amor, ch'a' suoi le piante e i cori impenna per fargli al terzo ciel volando ir vivi. Dolce m'e sol senz'arme esser stato ivi, dove armato fier Marte, et non acenna, quasi senza governo et senza antenna legni in mar, pien di penser' gravi et schivi. Pur giunto al fin de la giornata oscura, rimembrando ond'io vegno, et con quai piume, sento di troppo ardir nascer paura. Ma 'l bel paese e 'l difectoso fiume con serena accoglienza rassecura il cor gia volto ov'abita il suo lume. 178 Amor mi sprona in un tempo et affrena, assecura et spaventa, arde et agghiaccia, gradisce et sdegna, a se mi chiama et scaccia, or mi tene in speranza et or in pena, or alto or basso il meo cor lasso mena: onde 'l vago desir perde la traccia e 'l suo sommo piacer per che li spiaccia, d'error si novo la mia mente e piena. Un amico penser le mostra il vado, non d'acqua che per gli occhi si resolva, da gir tosto ove spera esser contenta; poi, quasi maggior forza indi la svolva, conven ch'altra via segua, et mal suo grado a la sua lunga, et mia, morte consenta. 179 Geri, quando talor meco s'adira la mia dolce nemica, ch'e si altera, un conforto m'e dato ch'i' non pera, solo per cui vertu l'alma respira. Ovunque ella sdegnando li occhi gira (che di luce privar mia vita spera?) le mostro i miei pien' d'umilta si vera, ch'a forza ogni suo sdegno indietro tira. E ccio non fusse, andrei non altramente a veder lei, che 'l volto di Medusa, che facea marmo diventar la gente. Cosi dunque fa' tu: ch'i' veggio exclusa ogni altra aita, e 'l fuggir val niente dinanzi a l'ali che 'l signor nostro usa. 180 Po, ben puo' tu portartene la scorza di me con tue possenti et rapide onde, ma lo spirto ch'iv'entro si nasconde non cura ne di tua ne d'altrui forza; lo qual senz'alternar poggia con orza dritto perl'aure suo desir seconde, battendo l'ali verso l'aurea fronde, l'acqua e 'l vento e la vela e i remi sforza. Re degli altri, superbo altero fiume, che 'ncontri 'l sol quando e'ne mena 'l giorno, e 'n ponente abandoni un piu bel lume, tu te ne vai col mio mortal sul corno; l'altro coverto d'amorose piume torna volando al suo dolce soggiorno. 181 Amor fra l'erbe una leggiadra rete d'oro et di perle tese sott'un ramo dell'arbor sempre verde ch'i' tant'amo, benche n'abbia ombre piu triste che liete. L'esca fu 'l seme ch'egli sparge et miete, dolce et acerbo, ch'i' pavento et bramo; le note non fur mai, dal di ch'Adamo aperse gli occhi, si soavi et quete. E 'l chiaro lume che sparir fa 'l sole folgorava d'intorno: e 'l fune avolto era la man ch'avorio et neve avanza. Cosi caddi a la rete, et qui m'an colto gli atti vaghi et l'angeliche parole, e 'l piacer e 'l desire et la speranza. 182 Amor, che 'ncende il cor d'ardente zelo, di gelata paura il ten constretto, et qual sia piu, fa dubbio a l'intellecto, la speranza o 'l temor, la fiamma o 'l gielo. Trem'al piu caldo, ard'al piu freddo cielo, sempre pien di desire et di sospetto, pur come donna in un vestire schietto celi un huom vivo, o sotto un picciol velo. Di queste pene e mia propia la prima, arder di et notte; et quanto e 'l dolce male ne 'n penser cape, nonche 'n versi o 'n rima; l'altra non gia: che 'l mio bel foco e tale ch'ogni uom pareggia; et del suo lume in cima chi volar pensa, indarno spiega l'ale. 183 Se 'l dolce sguardo di costei m'ancide, et le soavi parolette accorte, et s'Amor sopra me la fa si forte sol quando parla, over quando sorride, lasso, che fia, se forse ella divide, o per mia colpa o per malvagia sorte, gli occhi suoi da Merce, si che di morte, la dove or m'assicura, allor mi sfide? Pero s'i' tremo, et vo col cor gelato, qualor veggio cangiata sua figura, questo temer d'antiche prove e nato. Femina e cosa mobil per natura: ond'io so ben ch'un amoroso stato in cor di donna picciol tempo dura. 184 Amor, Natura, et la bella alma humile, ov'ogn'altra vertute alberga et regna, contra men son giurati: Amor s'ingegna ch'i' mora a fatto, e 'n cio segue suo stile; Natura ten costei d'un si gentile laccio, che nullo sforzo e che sostegna; ella e si schiva, ch'abitar non degna piu ne la vita faticosa et vile. Cosi lo spirto d'or in or ven meno a quelle belle care membra honeste che specchio eran di vera leggiadria; et s'a Morte Pieta non stringe 'l freno, lasso, ben veggio in che stato son queste vane speranze, ond'io viver solia. 185 Questa fenice de l'aurata piuma al suo bel collo, candido, gentile, forma senz'arte un si caro monile, ch'ogni cor addolcisce, e 'l mio consuma: forma un diadema natural ch'alluma l'aere d'intorno; e 'l tacito focile d'Amor tragge indi un liquido sottile foco che m'arde a la piu algente bruma. Purpurea vesta d'un ceruleo lembo sparso di rose i belli homeri vela: novo habito, et bellezza unica et sola. Fama ne l'odorato et ricco grembo d'arabi monti lei ripone et cela, che per lo nostro ciel si altera vola. 186 Se Virgilio et Homero avessin visto quel sole il qual vegg'io con gli occhi miei, tutte lor forze in dar fama a costei avrian posto, et l'un stil coll'altro misto: di che sarebbe Enea turbato et tristo, Achille, Ulixe et gli altri semidei, et quel che resse anni cinquantasei si bene il mondo et quel ch'ancise Egisto. Quel fior anticho di vertuti et d'arme come sembiante stella ebbe con questo novo fior d'onestate et di bellezze! Ennio di quel canto ruvido carme, di quest'altro io: et oh pur non molesto gli sia il mio ingegno, e 'l mio lodar non sprezze! 187 Giunto Alexandro a la famosa tomba del fero Achille, sospirando disse: O fortunato, che si chiara tromba trovasti, et chi di te si alto scrisse! Ma questa pura et candida colomba a cui non so s'al mondo mai par visse, nel mio stil frale assai poco rimbomba: cosi son le sue sorti a ciascun fisse. Che d'Omero dignissima et d'Orpheo, o del pastor ch'anchor Mantova honora, ch'andassen sempre lei sola cantando, stella difforme et fato sol qui reo commise a tal che 'l suo bel nome adora, ma forse scema sue lode parlando. 188 Almo Sol, quella fronde ch'io sola amo, tu prima amasti, or sola al bel soggiorno verdeggia, et senza par poi che l'addorno suo male et nostro vide in prima Adamo. Stiamo a mirarla: i' ti pur prego et chiamo, o Sole; et tu pur fuggi, et fai d'intorno ombrare i poggi, et te ne porti il giorno, et fuggendo mi toi quel ch'i' piu bramo. L'ombra che cade da quel' humil colle, ove favilla il mio soave foco, ove 'l gran lauro fu picciola verga, crescendo mentr'io parlo, agli occhi tolle la dolce vista del beato loco, ove 'l mio cor co la sua donna alberga. 189 Passa la nave mia colma d'oblio per aspro mare, a mezza notte il verno, enfra Scilla et Caribdi; et al governo siede 'l signore, anzi 'l nimico mio. A ciascun remo un penser pronto et rio che la tempesta e 'l fin par ch'abbi a scherno; la vela rompe un vento humido eterno di sospir', di speranze, et di desio. Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna et rallenta le gia stanche sarte, che son d'error con ignorantia attorto. Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l'onde e la ragion et l'arte, tal ch'incomincio a desperar del porto. 190 Una candida cerva sopra l'erba verde m'apparve, con duo corna d'oro, fra due riviere, all'ombra d'un alloro, levando 'l sole a la stagione acerba. Era sua vista si dolce superba, ch'i' lasciai per seguirla ogni lavoro: come l'avaro che 'n cercar tesoro con diletto l'affanno disacerba. " Nessun mi tocchi " al bel collo d'intorno scritto avea di diamanti et di topazi : " libera farmi al mio Cesare parve ". Et era 'l sol gia volto al mezzo giorno, gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi, quand'io caddi ne l'acqua, et ella sparve. 191 Si come eterna vita e veder Dio, ne piu si brama, ne bramar piu lice, cosi me, donna, il voi veder, felice fa in questo breve et fraile viver mio. Ne voi stessa com'or bella vid'io gia mai, se vero al cor l'occhio ridice: dolce del mio penser hora beatrice, che vince ogni alta speme, ogni desio. Et se non fusse il suo fuggir si ratto, piu non demanderei: che s'alcun vive sol d'odore, e tal fama fede acquista, alcun d'acqua o di foco, e 'l gusto e 'l tatto acquetan cose d'ogni dolzor prive, i' perche non de la vostra alma vista? 192 Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra, cose sopra natura altere et nove: vedi ben quanta in lei dolcezza piove, vedi lume che 'l cielo in terra mostra, vedi quant'arte dora e 'mperla e 'nostra l'abito electo, et mai non visto altrove, che dolcemente i piedi et gli occhi move per questa di bei colli ombrosa chiostra. L'erbetta verde e i fior' di color' mille sparsi sotto quel' elce antiqua et negra pregan pur che 'l bel pe' li prema o tocchi; e 'l ciel di vaghe et lucide faville s'accende intorno, e 'n vista si rallegra d'esser fatto seren da si belli occhi. 193 Pasco la mente d'un si nobil cibo, ch'ambrosia et nectar non invidio a Giove, che, sol mirando, oblio ne l'alma piove d'ogni altro dolce, et Lethe al fondo bibo. Talor ch'odo dir cose, e 'n cor describo, per che da sospirar sempre ritrove, rapto per man d'Amor, ne so ben dove, doppia dolcezza in un volto delibo: che quella voce infin al ciel gradita suona in parole si leggiadre et care, che pensar no 'l poria chi non l'a udita. Allor insieme, in men d'un palmo, appare visibilmente quanto in questa vita arte, ingegno et Natura e 'l Ciel po fare. 194 L'aura gentil, che rasserena i poggi destando i fior' per questo ombroso bosco, al soave suo spirto riconosco, per cui conven che 'n pena e 'n fama poggi. Per ritrovar ove 'l cor lasso appoggi, fuggo dal mi' natio dolce aere tosco; per far lume al penser torbido et fosco, cerco 'l mio sole et spero vederlo oggi. Nel qual provo dolcezze tante et tali ch'Amor per forza a lui mi riconduce; poi si m'abbaglia che 'l fuggir m'e tardo. I' chiedrei a scampar, non arme, anzi ali; ma perir mi da 'l ciel per questa luce, che da lunge mi struggo et da presso ardo. 195 Di di in di vo cangiando il viso e 'l pelo, ne pero smorso i dolce inescati hami, ne sbranco i verdi et invescati rami de l'arbor che ne sol cura ne gielo. Senz'acqua il mare et senza stelle il cielo fia inanzi ch'io non sempre tema et brami la sua bell'ombra, et ch'i' non odi et ami l'alta piaga amorosa, che mal celo. Non spero del mio affanno aver mai posa, infin ch'i' mi disosso et snervo et spolpo, o la nemica mia pieta n'avesse. Esser po in prima ogni impossibil cosa, ch'altri che morte, od ella, sani 'l colpo ch'Amor co' suoi belli occhi al cor m'impresse. 196 L'aura serena che fra verdi fronde mormorando a ferir nel volto viemme, fammi risovenir quand'Amor diemme le prime piaghe, si dolci profonde; e 'l bel viso veder, ch'altri m'asconde, che sdegno o gelosia celato tiemme; et le chiome or avolte in perle e 'n gemme, allora sciolte, et sovra or terso bionde: le quali ella spargea si dolcemente, et raccogliea con si leggiadri modi, che ripensando ancor trema la mente; torsele il tempo poi in piu saldi nodi, et strinse 'l cor d'un laccio si possente, che Morte sola fia ch'indi lo snodi. 197 L'aura celeste che 'n quel verde lauro spira, ov'Amor feri nel fianco Apollo, et a me pose un dolce giogo al collo, tal che mia liberta tardi restauro, po quello in me che nel gran vecchio mauro Medusa quando in selce transformollo; ne posso dal bel nodo omai dar crollo, la 've il sol perde, non pur l'ambra, o l'auro: dico le chiome bionde, e 'l crespo laccio, che si soavemente lega et stringe l'alma che d'umiltate e non d'altr'armo. L'ombra sua sola fa 'l mio cor un ghiaccio, et di bianca paura il viso tinge; ma li occhi anno vertu di farne un marmo. 198 L'aura soave al sole spiega et vibra l'auro ch'Amor di sua man fila et tesse la da' begli occhi, et de le chiome stesse lega 'l cor lasso, e i lievi spirti cribra. Non o medolla in osso, o sangue in fibra, ch'i' non senta tremar, pur ch'i' m'apresse dove e chi morte et vita inseme, spesse volte, in frale bilancia appende et libra, vedendo ardere i lumi ond'io m'accendo, et folgorare i nodi ond'io son preso, or su l'omero dextro et or sul manco. I' nol posso ridir, che nol comprendo: da ta' due luci e l'intellecto offeso, et di tanta dolcezza oppresso et stanco. 199 O bella man, che mi destringi 'l core, e 'n poco spatio la mia vita chiudi; man ov'ogni arte et tutti i lor studi poser Natura e 'l Ciel per farsi honore; di cinque perle oriental' colore, et sol ne le mie piaghe acerbi et crudi, diti schietti soavi, a tempo ignudi consente or voi, per arricchirme, Amore. Candido leggiadretto et caro guanto, che copria netto avorio et fresche rose, chi vide al mondo mai si dolci spoglie? Cosi avess'io del bel velo altrettanto! O incostantia de l'umane cose! Pur questo e furto, et vien chi me ne spoglie. 200 Non pur quell'una bella ignuda mano, che con grave mio danno si riveste, ma l'altra et le duo braccia accorte et preste son a stringere il cor timido et piano. Lacci Amor mille, et nesun tende invano, fra quelle vaghe nove forme honeste ch'adornan si l'alto habito celeste, ch'agiunger nol po stil ne 'ngegno humano: li occhi sereni et le stellanti ciglia, la bella bocca angelica, di perle piena et di rose et di dolci parole, che fanno altrui tremar di meraviglia, et la fronte, et le chiome, ch'a vederle di state, a mezzo di, vincono il sole. 201 Mia ventura et Amor m'avean si adorno d'un bello aurato et serico trapunto, ch'al sommo del mio ben quasi era aggiunto, pensando meco: A chi fu quest'intorno? Ne mi riede a la mente mai quel giorno che mi fe' ricco et povero in un punto, ch'i' non sia d'ira et di dolor compunto, pien di vergogna et d'amoroso scorno, che la mia nobil preda non piu stretta tenni al bisogno, et non fui piu costante contra lo sforzo sol d'una angioletta; o, fugendo, ale non giunsi a le piante, per far almen di quella man vendetta che de li occhi mi trahe lagrime tante. 202 D'un bel chiaro polito et vivo ghiaccio move la fiamma che m'incende et strugge, et si le vene e 'l cor m'asciuga et sugge che 'nvisibilmente i' mi disfaccio. Morte, gia per ferire alzato 'l braccio, come irato ciel tona o leon rugge, va perseguendo mia vita che fugge; et io, pien di paura, tremo et taccio. Ben poria anchor Pieta con Amor mista, per sostegno di me, doppia colonna porsi fra l'alma stancha e 'l mortal colpo; ma io nol credo, ne 'l conosco in vista di quella dolce mia nemica et donna: ne di cio lei, ma mia ventura incolpo. 203 Lasso, ch'i' ardo, et altri non me 'l crede; si crede ogni uom, se non sola colei che sovr'ogni altra, et ch'i' sola, vorrei: ella non par che 'l creda, et si sel vede. Infinita bellezza et poca fede, non vedete voi 'l cor nelli occhi mei? Se non fusse mia stella, i' pur devrei al fonte di pieta trovar mercede. Quest'arder mio, di che vi cal si poco, e i vostri honori, in mie rime diffusi, ne porian infiammar fors'anchor mille: ch'i' veggio nel penser, dolce mio foco, fredda una lingua et duo belli occhi chiusi rimaner, dopo noi, pien' di faville. 204 Anima, che diverse cose tante vedi, odi et leggi et parli et scrivi et pensi; occhi miei vaghi, et tu, fra li altri sensi, che scorgi al cor l'alte parole sante: per quanto non vorreste o poscia od ante esser giunti al camin che si mal tiensi, per non trovarvi i duo bei lumi accensi, ne l'orme impresse de l'amate piante? Or con si chiara luce, et con tai segni, errar non desi in quel breve viaggio, che ne po far d'etterno albergo degni. Sforzati al cielo, o mio stancho coraggio, per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni, seguendo i passi honesti e 'l divo raggio. 205 Dolci ire, dolci sdegni et dolci paci, dolce mal, dolce affanno et dolce peso, dolce parlare, et dolcemente inteso, or di dolce ora, or pien di dolci faci: alma, non ti lagnar, ma soffra et taci, et tempra il dolce amaro, che n'a offeso, col dolce honor che d'amar quella ai preso a cui io dissi: Tu sola mi piaci. Forse anchor fia chi sospirando dica, tinto di dolce invidia: Assai sostenne per bellissimo amor quest'al suo tempo. Altri: O fortuna agli occhi miei nemica, perche non la vid'io? perche non venne ella piu tardi, over io piu per tempo? 206 S'i' 'l dissi mai, ch'i' vegna in odio a quella del cui amor vivo, et senza 'l qual morrei; s'i' 'l dissi, che miei di sian pochi et rei, et di vil signoria l'anima ancella; s'i' 'l dissi, contra me s'arme ogni stella, et dal mio lato sia Paura et Gelosia, et la nemica mia piu feroce ver 'me sempre et piu bella. S'i' 'l dissi, Amor l'aurate sue quadrella spenda in me tutte, et l'impiombate in lei; s'i' 'l dissi, cielo et terra, uomini et dei mi sian contrari, et essa ognor piu fella; s'i' 'l dissi, chi con sua cieca facella dritto a morte m'invia, pur come suol si stia, ne mai piu dolce o pia ver' me si mostri, in atto od in favella. S'i' 'l dissi mai, di quel ch'i' men vorrei piena trovi quest'aspra et breve via; s'i' 'l dissi, il fero ardor che mi desvia cresca in me quanto il fier ghiaccio in costei; s'i' 'l dissi, unqua non veggianli occhi mei sol chiaro, o sua sorella, ne donna ne donzella, ma terribil procella, qual Pharaone in perseguir li hebrei. S'i' 'l dissi, coi sospir, quant'io mai fei, sia Pieta per me morta, et Cortesia; s'i' 'l dissi, il dir s'innaspri, che s'udia si dolce allor che vinto mi rendei; s'i' 'l dissi, io spiaccia a quella ch'i'torrei sol, chiuso in fosca cella, dal di che la mamella lasciai, finche si svella da me l'alma, adorar: forse e 'l farei. Ma s'io nol dissi, chi si dolce apria meo cor a speme ne l'eta novella, regg 'anchor questa stanca navicella col governo di sua pieta natia, ne diventi altra, ma pur qual solia quando piu non potei, che me stesso perdei (ne piu perder devrei). Mal fa chi tanta fe' si tosto oblia. I'nol dissi gia mai, ne per dir poria per oro o per cittadi o per castella. Vinca 'l ver dunque, et si rimanga in sella, et vinta a terra caggia la bugia. Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia, dinne quel che dir dei. I' beato direi, tre volte et quattro et sei, chi, devendo languir, si mori pria. Per Rachel o servito, et non per Lia; ne con altra saprei viver, et sosterrei, quando 'l ciel ne rappella, girmen con ella in sul carro de Helia. 207 Ben mi credea passar mio tempo omai come passato avea quest'anni a dietro, senz'altro studio et senza novi ingegni: or poi che da madonna i' non impetro l'usata aita, a che condutto m'ai, tu 'l vedi, Amor, che tal arte m'insegni. Non so s'i' me ne sdegni, che 'n questa eta mi fa divenir ladro del bel lume leggiadro, senza 'l qual non vivrei in tanti affanni. Cosi avess'io i primi anni preso lo stil ch'or prender mi bisogna, che 'n giovenil fallir e men vergogna. Li occhi soavi ond'io soglio aver vita, de le divine lor alte bellezze furmi in sul cominciar tanto cortesi, che 'n guisa d'uom cui non proprie ricchezze, ma celato di for soccorso aita, vissimi, che ne lor ne altri offesi. Or, bench'a me ne pesi, divento ingiurioso et importuno: che 'l poverel digiuno ven ad atto talor che 'n miglior stato avria in altrui biasmato. Se le man' di Pieta Invidia m'a chiuse, fame amorosa, e 'l non poter, mi scuse. Ch'i' o cercate gia vie piu di mille per provar senza lor se mortal cosa mi potesse tener in vita un giorno. L'anima, poi ch'altrove non a posa, corre pur a l'angeliche faville; et io, che son di cera, al foco torno; et pongo mente intorno ove si fa men guardia a quel ch'i' bramo; et come augel in ramo, ove men teme, ivi piu tosto e colto, cosi dal suo bel volto l'involo or uno et or un altro sguardo; et di cio inseme mi nutrico et ardo. Di mia morte mi pasco, et vivo in fiamme: stranio cibo, et mirabil salamandra; ma miracol non e, da tal si vole. Felice agnello a la penosa mandra mi giacqui un tempo; or a l'extremo famme et Fortuna et Amor pur come sole: cosi rose et viole a primavera, e 'l verno a neve et ghiaccio. Pero, s'i' mi procaccio quinci et quindi alimenti al viver curto, se vol dir che sia furto, si ricca donna deve esser contenta, s'altri vive del suo, ch'ella nol senta. Chi nol sa di chi vivo, et vissi sempre, dal di che 'n prima que' belli occhi vidi, che mi fecer cangiar vita et costume? Per cercar terra et mar da tutti lidi, chi po saver tutte l'umane tempre? L'un vive, ecco, d'odor, la sul gran fiume; io qui di foco et lume queto i frali et famelici miei spirti. Amor, et vo' ben dirti, disconvensi a signor l'esser si parco. Tu ai li strali et l'arco: fa' di tua man, non pur bramand'io mora, ch'un bel morir tutta la vita honora. Chiusa fiamma e piu ardente; et se pur cresce, in alcun modo piu non po celarsi: Amor, i 'l so, che 'l provo a le tue mani. Vedesti ben, quando si tacito arsi; or de' miei gridi a ma medesmo incresce, che vo noiando et proximi et lontani. O mondo, o penser' vani; o mia forte ventura a che m'adduce! O di che vaga luce al cor mi nacque la tenace speme, onde l'annoda et preme quella che con tua forza al fin mi mena! La colpa e vostra, et mio 'l danno et la pena. Cosi di ben amar porto tormento, et del peccato altrui cheggio perdono: anzi del mio, che devea torcer li occhi dal troppo lume, et di sirene al suono chiuder li orecchi; et anchor non me 'n pento, che di dolce veleno il cor trabocchi. Aspett'io pur che scocchi l'ultimo colpo chi mi diede 'l primo; et fia, s'i' dritto extimo, un modo di pietate occider tosto, non essendo ei disposto a far altro di me che quel che soglia: che ben muor chi morendo esce di doglia. Canzon mia, fermo in campo staro, ch'elli e disnor morir fuggendo; et me stesso reprendo di tai lamenti; si dolce e mia sorte, pianto, sospiri et morte. Servo d'Amor, che queste rime leggi, ben non a 'l mondo, che 'l mio mal pareggi. 208 Rapido fiume che d'alpestra vena rodendo intorno, onde 'l tuo nome prendi, notte et di meco disioso scendi ov'Amor me, te sol Natura mena, vattene innanzi: il tuo corso non frena ne stanchezza ne sonno; et pria che rendi suo dritto al mar, fiso u' si mostri attendi l'erba piu verde, et l'aria piu serena. Ivi e quel nostro vivo et dolce sole, ch'addorna e 'nfiora la tua riva manca: forse (o che spero?) e 'l mio tardar le dole. Basciale 'l piede, o la man bella et bianca; dille, e 'l basciar sie 'nvece di parole: Lo spirto e pronto, ma la carne e stanca. 209 I dolci colli ov'io lasciai me stesso, partendo onde partir gia mai non posso, mi vanno innanzi et emmi, ognor adosso quel caro peso ch'Amor m'a commesso. Meco di me mi meraviglio spesso, ch'i' pur vo sempre, et non son anchor mosso dal bel giogo piu volte indarno scosso, ma com piu me n'allungo, et piu m'appresso. Et qual cervo ferito di saetta, col ferro avelenato dentr'al fianco, fugge, et piu duolsi quanto piu s'affretta, tal io, con quello stral dal lato manco, che mi consuma, et parte mi diletta, di duol mi struggo, et di fuggir mi stanco. 210 Non da l'hispano Hibero a l'indo Ydaspe ricercando del mar ogni pendice, ne dal lito vermiglio a l'onde caspe, ne 'n ciel ne 'n terra e piu d'una fenice. Qual dextro corvo o qual mancha cornice canti 'l mio fato, o qual Parca l'innaspe? che sol trovo Pieta sorda com'aspe, misero, onde sperava esser felice. Ch'i' non vo' dir di lei: ma chi la scorge, tutto 'l cor di dolcezza et d'amor gli empie, tanto n'a seco, et tant'altrui ne porge; et per far mie dolcezze amare et empie, o s'infinge o non cura, o non s'accorge, del fiorir queste inanzi tempo tempie. 211 Voglia mi sprona, Amor mi guida et scorge, Piacer mi tira, Usanza mi trasporta, Speranza mi lusinga et riconforta et la man destra al cor gia stanco porge; e 'l misero la prende, et non s'accorge di nostra cieca et disleale scorta: regnano i sensi, et la ragion e morta; de l'un vago desio l'altro risorge. Vertute, Honor, Bellezza, atto gentile, dolci parole ai be' rami m'an giunto ove soavemente il cor s'invesca. Mille trecento ventisette, a punto su l'ora prima, il di sesto d'aprile, nel laberinto intrai, ne veggio ond'esca. 212 Beato in sogno et di languir contento, d'abbracciar l'ombre et seguir l'aura estiva, nuoto per mar che non a fondo o riva, solco onde, e 'n rena fondo, et scrivo in vento; e 'l sol vagheggio, si ch'elli a gia spento col suo splendor la mia vertu visiva, et una cerva errante et fugitiva caccio con un bue zoppo e 'nfermo et lento. Cieco et stanco ad ogni altro ch'al mio danno il qual di et notte palpitando cerco, sol Amor et madonna, et Morte, chiamo. Cosi venti anni, grave et lungo affanno, pur lagrime et sospiri et dolor merco: in tale stella presi l'esca et l'amo. 213 Grazie ch'a pochi il ciel largo destina: rara vertu, non gia d'umana gente, sotto biondi capei canuta mente, e 'n humil donna alta belta divina; leggiadria singulare et pellegrina, e 'l cantar che ne l'anima si sente, l'andar celeste, e 'l vago spirto ardente, ch'ogni dur rompe et ogni altezza inchina; e que' belli occhi che i cor' fanno smalti, possenti a rischiarar abisso et notti, et torre l'alme a' corpi, et darle altrui; col dir pien d'intellecti dolci et alti, co i sospiri soavemente rotti: da questi magi transformato fui. 214 Anzi tre di creata era alma in parte da por sua cura in cose altere et nove, et dispregiar di quel ch'a molti e 'n pregio. Quest'anchor dubbia del fatal suo corso, sola pensando, pargoletta et sciolta, intro di primavera in un bel bosco. Era un tenero fior nato in quel bosco il giorno avanti, et la radice in parte ch'appressar nol poteva anima sciolta: che v'eran di lacciuo' forme si nove, et tal piacer precipitava al corso, che perder libertate ivi era in pregio. Caro, dolce, alto et faticoso pregio, che ratto mi volgesti al verde bosco usato di sviarne a mezzo 'l corso! Et o cerco poi 'l mondo a parte a parte, se versi o petre o suco d'erbe nove mi rendesser un di la mente sciolta. Ma, lasso, or veggio che la carne sciolta fia di quel nodo ond'e 'l suo maggior pregio prima che medicine, antiche o nove, saldin le piaghe ch'i' presi in quel bosco, folto di spine, ond'i' o ben tal parte, che zoppo n'esco, e 'ntra'vi a si gran corso. Pien di lacci et di stecchi un duro corso aggio a fornire, ove leggera et sciolta pianta avrebbe uopo, et sana d'ogni parte. Ma Tu, Signor, ch'ai di pietate il pregio, porgimi la man dextra in questo bosco: vinca 'l Tuo sol le mie tenebre nove. Guarda 'l mio stato, a le vaghezze nove che 'nterrompendo di mia vita il corso m'an fatto habitador d'ombroso bosco; rendimi, s'esser po, libera et sciolta l'errante mia consorte; et fia Tuo 'l pregio, s'anchor Teco la trovo in miglior parte. Or ecco in parte le question' mie nove: s'alcun pregio in me vive, o 'n tutto e corso, o l'alma sciolta, o ritenuta al bosco. 215 In nobil sangue vita humile et queta et in alto intellecto un puro core, frutto senile in sul giovenil fiore e 'n aspetto pensoso anima lieta raccolto a 'n questa donna il suo pianeta, anzi 'l re de le stelle; e 'l vero honore, le degne lode, e 'l gran pregio, e 'l valore, ch'e da stanchar ogni divin poeta. Amor s'e in lei con Honestate aggiunto, con belta naturale habito adorno, et un atto che parla con silentio, et non so che nelli occhi, che 'n un punto po far chiara la notte, oscuro il giorno, e l' mel amaro, et addolcir l'assentio. 216 Tutto 'l di piango; et poi la notte, quando prendon riposo i miseri mortali, trovomi in pianto, et raddoppiansi i mali: cosi spendo 'l mio tempo lagrimando. In tristo humor vo li occhi comsumando, e 'l cor in doglia; et son fra li animali l'ultimo, si che li amorosi strali mi tengon ad ogni or di pace in bando. Lasso, che pur da l'un a l'altro sole, et da l'una ombra a l'altra, o gia 'l piu corso di questa morte, che si chiama vita. Piu l'altrui fallo che 'l mi' mal mi dole: che Pieta viva, e 'l mio fido soccorso, vedem' arder nel foco, et non m'aita. 217 Gia desiai con si giusta querela e 'n si fervide rime farmi udire, ch'un foco di pieta fessi sentire al duro cor ch'a mezza state gela; et l'empia nube, che 'l rafredda et vela, rompesse a l'aura del mi' ardente dire; o fessi quell'altrui in odio venire, che ' belli, onde mi strugge, occhi mi cela. Or non odio per lei, per me pietate cerco: che quel non vo', questo non posso (tal fu mia stella, et tal mia cruda sorte); ma canto la divina sua beltate, che, quand'i' sia di questa carne scosso, sappia 'l mondo che dolce e la mia morte. 218 Tra quantunque leggiadre donne et belle giunga costei ch'al mondo non a pare, col suo bel viso suol dell'altre fare quel che fa 'l di de le minori stelle. Amor par ch'a l'orecchie mi favelle, dicendo: Quanto questa in terra appare, fia 'l viver bello; et poi 'l vedrem turbare, perir vertuti, e 'l mio regno con elle.